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Venezia: una via autonoma al Cinquecento
Letto in chiave vasariana, l’avvio al Cinquecento privilegia l’asse tosco-romano e la componente del disegno, posta a fondamento di tutte le arti ( il primato del disegno). Ma esistono aree in cui la Maniera moderna si manifesta per altre vie che presuppongono una diversa condizione culturale e, per così dire, sentimentale.
Nell’Italia del nord, ad esempio, il corso autonomo dell’arte veneziana è determinato in parte dal suo isolamento geografico, in parte dai più stretti rapporti con l’arte nordica, presente a Venezia nei quadri dei pittori fiamminghi e nelle stampe dei maestri tedeschi, in parte da una cultura più incline alle divagazioni poetiche e letterarie che alla speculazione filosofica.
Questi fattori incidono sull’orientamento degli artisti, favorendo l’instaurarsi di un rapporto meno intellettualistico con la natura che determina il superamento del sistema geometrico-prospettico di matrice quattrocentesca nella definizione di una spazialità nuova, più fusa e avvolgente, basata sull’unità tonale delle variazioni cromatiche e luminose.
Ciò che contraddistingue le opere di Giorgione, che inaugurano la splendida stagione della pittura veneziana, è un nuovo sentimento della bellezza, nato dalla contemplazione dello spettacolo naturale percepito nei suoi valori di colore, luce e atmosfera. Un sentimento vitale ed emozionato che si esprime nella calma assorta di visioni paesistiche colme di magia e nella fragrante carnalità dei corpi modellati non più attraverso una definizione plasticodisegnativa delle forme, ma direttamente con il colore, sfumando dolcemente i contorni.
Dal punto di vista tecnico, la prassi di dipingere senza disegno, "usando nondimeno di cacciarsi avanti le cose vive e naturali, e di contrafarle quanto sapeva il meglio con i colori" (Vasari), costituisce il lascito più fecondo di Giorgione alla tradizione veneziana che fonda su di esso il segreto della sua floridezza cromatica, della morbidezza delle sue superfici, della sostanza materica dei suoi impasti.
Su queste premesse si sviluppa l’arte di Tiziano che saprà coniugare le nuove forme della Maniera moderna con le suggestioni del colore, indagato in tutte le sue valenze luminose ed espressive.
La sua pittura stupendamente cromatica farà scuola ai più grandi artisti italiani e stranieri, dai Carracci a Rubens, da Delacroix a Renoir.
In area lombarda, l’aggiornamento della cultura artistica locale sulle novità tosco-romane passa certamente per Roma, dove - già sul finire del 1518 - si reca il giovane Correggio, "il primo che seguitò in Lombardia la Maniera moderna" (Vasari). Tuttavia, innestandosi su una tradizione contrassegnata da forti interessi naturalistici, quelle novità si affermarono in una variante particolarissima che riesce ad accordare l’ideale classico con il senso fisico delle cose e la tenera grazia dei sentimenti. Una variante tutta lombarda, più affabile e domestica, che dà i suoi esiti più fecondi a fine secolo, nel recupero appassionato del primo tempo dei Carracci. 247-drugstore.com

"Una cresta sottile"
Quella fervida stagione, che appare ai contemporanei come una nuova età dell’oro, non è tuttavia destinata a durare a lungo. Si protrae ancora durante il pontificato di Leone X, ma già alla morte di Raffaello (1520) entra in crisi.
Nella pienezza dei suoi valori, il classicismo rinascimentale è, secondo la fortunata definizione di Wolfflin, una "cresta sottile" che appena raggiunta è subito travalicata, complice la grave crisi delle coscienze prodotta dallo scisma luterano che spezza l’unità dei cristiani e infrange il sogno universalistico della Chiesa cattolica, il mito della renovatio, la fiducia nella razionalità della natura e della storia. Segue un clima d’incertezza e smarrimento che ha contraccolpi immediati sul piano artistico, dove si manifesta precocemente un’attitudine generalizzata alla "licenza" e alla trasgressione delle regole che apre il campo, nella pittura come nella scultura e nell’architettura, a nuove avventure e a nuove sperimentazioni.

Manierismo e Maniera
Tra i due termini estremi indicati da Briganti, la fondazione della Maniera moderna e l’avvio al naturalismo seicentesco, la passata storiografia collocava la lunga stagione del manierismo, omologando entro le categorie astratte di una costruzione puramente concettuale tutte le alterazioni, variazioni e codificazioni del classicismo rinascimentale che contrassegnano le manifestazioni artistiche succedutesi nell’arco di quei sessant’anni.
L’esigenza di sottoporre a verifica la validità storica di un termine troppo generico e ormai logoro, ha avviato, a partire dagli anni ’60 del nostro secolo, una riflessione che, nel solco tracciato dallo studio fondamentale di John Shearman (Mannerism, 1967), ha consentito di ridefinire i limiti cronologici e gli aspetti caratterizzanti di quella che oggi si preferisce chiamare la civiltà della Maniera, assumendo il termine nell’accezione che le ha attribuito il Vasari.
Escludendo la breve ma significativa stagione dell’anticlassicismo, sbocciata dall’inquietudine di artisti "eccentrici", tormentati e solitari (Rosso Fiorentino e Pontormo giovani, Berruguete e Domenico Beccafumi, Lorenzo Lotto), più in sintonia con l’espressionismo dell’arte nordica che con le regole del nuovo classicismo, la nuova periodizzazione fa slittare gli inizi della Maniera al terzo decennio del Cinquecento, non più a Firenze ma a Roma, nei primi anni del pontificato di Clemente VII.
Nell’atmosfera colta, tollerante e raffinata che contraddistingue la corte del nuovo papa Medici, i giovani allievi di Raffaello (Giulio Romano, Polidoro da Caravaggio e Perin del Vaga), subito affiancati da Rosso Fiorentino, Benvenuto Cellini e Parmigianino, danno vita alla prima vera stagione della Maniera (lo stile clementino), trovando "un comune terreno d’intesa nell’aspirazione a una suprema ricercatezza stilistica e nel gusto per la citazione archeologica, il concettismo letterario e l’eleganza decorativa" (Pinelli).
Alla corte di papa Clemente VII nasce quell’attitudine mentale che sarà comune a tutti gli artisti legati per vari tramiti alla Maniera, un’attitudine a forzare le proporzioni, i ritmi, le cadenze, gli equilibri spaziali e compositivi, a "esasperare" in senso plastico o decorativo i modelli classici di Raffaello e Michelangelo, a chiudersi volontariamente entro le catene di uno stilismo astratto e di un ossessivo citazionismo che subordina la creazione artistica all’impiego costante di norme, canoni, modelli, figure retoriche (la figura serpentinata). Se ne colgono le conseguenze in tutte quelle manifestazioni di raffaellismo e michelangiolismo che trasformano i testi fondamentali della Maniera moderna in un modello normativo, codificato in regole formali.



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