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: : Giovedì 24 Giugno 2004 : :
RAFFAELLO
Raffaello e Leone X
All’insegna della concitazione e del movimento si articola l’ultima parete della seconda stanza raffigurante l’Incontro di Attila e Leone Magno. Nei panni del pontefice è ritratto il nuovo papa Leone X, salito al soglio pontificio dopo la morte di Giulio II nel 1513. Appartenente alla famiglia fiorentina dei Medici, Leone X imposta una politica culturale attentissima alle arti in tutte le sue forme. Il papa affida quindi a Raffaello diversi incarichi di rilievo che ne fanno, anche grazie al trasferimento di Michelangelo a Firenze, l’artista di punta della Roma papale.
Alla nuova carica di architetto della Fabbrica di San Pietro (1514) si sovrappone la decorazione della Stanza dell’Incendio di Borgo. Qui l’impegno di Raffaello si limita alla parete omonima, impostata come una ricca scena teatrale, profondamente meditata dal punto di vista formale. Non è errato affermare che qui siano presenti tutte le caratteristiche primarie di quella che sarà la stagione della Maniera: minore attenzione alla verosimiglianza, maggiore vigore plastico unito a un’eleganza intrinseca, concezione dello spazio non più come pura coerenza prospettica bensì come fondali sovrapposti. Nell’Incendio di Borgo alla rappresentazione armonica del reale si sostituisce una "presentazione caricata", dove il valore dell’arte pare essere ora quello di stupire e di conquistare.
Le commissioni si accavallano a ritmi vertiginosi. Contemporaneamente Raffaello avvia la realizzazione dei cartoni con Storie dei santi Pietro e Paolo per i dieci arazzi della Cappella Sistina che termina nel dicembre del 1516. Conservati al Victoria and Albert Museum di Londra (ne sopravvivono sette), testimoniano l’impegno di Raffaello che cerca di amplificare la costruzione del racconto, ora in modo solenne e ieratico, ora in modo concitato e drammatico.
Per realizzare questi cartoni, l’artista delega alla sua bottega (Giulio Romano, Giovanni da Udine, Gianfrancesco Penni) le altre attività pubbliche, limitandosi spesso a fornire i disegni preparatori (come nel caso già citato della Stanza di Eliodoro). Ma tali commissioni non gli impediscono di realizzare opere per committenti non romani. Di questo periodo la delicata e tenera Madonna della seggiola (1513-1514; Firenze, Galleria Palatina), l’intensa Estasi di santa Cecilia (1514 circa; Bologna, Pinacoteca Nazionale) eseguita per la beata bolognese Elena Duglioli dall’Olio, il pietistico Spasmo di Sicilia (1515 circa; Madrid, Prado) per gli olivetani di Santa Maria dello Spasimo di Palermo.
Il nome di Raffaello corre lungo l’Europa; richiesto e coccolato, l’artista stenta a soddisfare i suoi committenti. Tra questi, il cardinale Dovizi Bibbiena gli affida la decorazione del suo appartamento nei Palazzi Vaticani. Nella cosiddetta "Stufetta" e nella "Loggetta" Raffaello dirige la sua bottega, impostando gli affreschi come una renovatio dell’antico mediante il reimpiego della grottesca. Lo studio compiuto dall’urbinate e dai suoi collaboratori delle Terme di Tito e della Domus Aurea è palese e si collega sicuramente alla sua nomina di praefectus delle antichità, voluta da Leone X il 15 agosto 1515.
Il rapporto tra il pontefice e Raffaello Sanzio diventa sempre più stretto. Tra il 1517 e il 1518 dipinge l’intenso ritratto di Leone X con due cardinali (Firenze, Galleria Palatina, forse completato da Giulio Romano) che il papa invia subito alla sua famiglia a Firenze. Alcuni brani come le vesti di Leone X, il campanello, la pergamena e la sedia sono veri e propri equilibrismi pittorici all’insegna di una ricerca mimetica quasi in gara con la natura stessa.
Cosciente delle potenzialità attrattive dell’arte dell’urbinate, il papa Medici se ne serve come mezzo per accattivarsi le simpatie del re di Francia Francesco I. Con tale finalità nel 1518 Raffaello esegue - con aiuti due opere d’importanza capitale: il San Michele e la Sacra Famiglia di Francesco I (entrambe al Louvre di Parigi), testimonianze omogenee di quella ricercata classicità fatta di gesti eleganti e di solidi volumi. totaldrugmart.com
Le ultime opere di Raffaello
Il lavoro della bottega raffaellesca si carica di nuovi impegni tra il 1518 e il 1520. Nelle Logge Vaticane, al secondo piano del Palazzo Vaticano di Niccolò III, Raffaello funge da regista per il lavoro nelle tredici campate, dove le scene con episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento delle volte si inseriscono in una sorta di decorazione globale con largo impiego di stucchi con grottesche. La vena narrativa e la vivace impronta cromatica di scene come Il giudizio di Salomone denunciano una ricerca diversa dalla solennità intellettualistica delle opere precedenti.
Un’altra prestigiosa committenza giunge da Giulio de’ Medici, futuro papa Clemente VII. Prevedendo di donare una pala d’altare di grandi dimensioni per la sua sede vescovile francese di Narbonne, il prelato interpella Raffaello sin dal 1516. Oberato dagli impegni papali l’urbinate temporeggia, così nel 1517 il futuro papa si rivolge a Sebastiano del Piombo che nel giro di due anni, grazie ai disegni di Michelangelo, realizza la Resurrezione di Lazzaro (Londra, National Gallery). Davanti a questa situazione, Raffaello si concentra in prima persona sul dipinto, stimolato dal confronto, seppure a distanza, con Buonarroti. Dopo il luglio 1518 la grande tela, concepita come una grande macchina teatrale, è in fase di elaborazione. Il risultato è la Trasfigurazione (ora alla Pinacoteca Vaticana a Roma), strutturata in due registri: in alto la trasfigurazione, in basso il miracolo della guarigione dell’ossesso. In questa porzione domina l’agitazione, il tono declamatorio, la solidità delle forme, mentre la parte superiore appare più distesa e soave con la figura del Cristo che si libra soavemente in aria. Si tratta, ancora una volta, di una profonda innovazione nella grammatica visiva della pala d’altare.
Ancora il giorno prima della sua morte, avvenuta il 6 aprile 1520, Raffaello lavora alla Trasfigurazione e, quasi a suggello di una carriera, il dipinto viene esposto alle pubbliche esequie celebrate al Pantheon. Poco dopo viene mostrato pubblicamente assieme alla Resurrezione di Lazzaro di Sebastiano: il successo è talmente clamoroso che Giulio de’ Medici decide di lasciare l’opera a Roma e di esporla in San Pietro in Montorio.
La prematura morte dell’artista sancisce l’inizio del mito di Raffaello; i contemporanei ne piangono la scomparsa come si trattasse di una divinità antica. Tutto depone a favore di tale beatificazione pagana: la sua capacità di misurarsi con la natura, la sua affabilità umana, il suo successo, la sua stessa vita terminata in età ancora giovane.
La bottega di Raffaello, la più avanzata e organizzata del tempo, si occuperà di portare avanti gli incarichi inevasi. Seguendo l’esempio finale del maestro, Giulio Romano, Perin del Vaga e Polidoro da Caravaggio animano una nuova fase dell’arte italiana, quella della Maniera. Quasi paradossalmente, nel momento in cui si cercano soluzioni alternative al manierismo (con i Carracci alla fine del secolo), Raffaello resta l’esempio ideale, a conferma della vastità del suo mondo figurativo: un’esperienza breve ma unica per qualità e inventiva che si radica per secoli nella storia dell’arte europea.
Bibliografia essenziale
AA. VV., Studi su Raffaello, atti del convegno di Urbino e Firenze, a cura di M. Sambucco Hamound e M.L. Strocchi, 2 voll., Urbino, QuattroVenti, 1987.
S. Ferino Pagden, M.A. Zancan, Raffaello, catalogo completo, Firenze, Cantini, 1989.
Raffaello e l’Europa, atti del convegno a cura di M. Fagiolo, M.L. Madonna, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 1990.
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