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La formazione umbra e il rapporto con Perugino
Nel 1550 il biografo e artista Giorgio Vasari scrive: "Sicurissimamente può dirsi che i possessori della dote di Raffaello non sono uomini semplicemente, ma dèi mortali". Nell’ottica filofiorentina e michelangiolesca dell’autore delle Vite, tale affermazione costituisce una significativa attestazione, ponendosi come una delle prime espressioni di quel mito di Raffaello già alimentato dai contemporanei e destinato a durare fino a tutto il XVIII secolo.
Raffaello Sanzio nasce a Urbino il 6 aprile 1483. Figlio del pittore di corte Giovanni Santi, trascorre l’infanzia nel clima umanistico della corte di Federico da Montefeltro. Apprende i rudimenti dell’arte dal padre che, tra l’altro, conosciamo anche per una Cronaca rimata dove rivela una profonda conoscenza degli sviluppi della storia dell’arte coeva (si pensi all’esaltazione dei giovani Leonardo e Perugino).
Ma il vero maestro di Raffaello è il pittore più celebre e ricercato nell’Italia di fine Quattrocento: Pietro Perugino. La datazione di questo alunnato è tuttora controversa, ma certamente si può considerare avvenuta entro il 1500, quando il giovane artista si trasferisce a Città di Castello.
Da questa data, infatti, Raffaello comincia a muoversi come artista autonomo. E’ sorprendente constatare come a soli diciassette anni venga già indicato come magister nel contratto per la pala di san Nicolò da Tolentino (per la chiesa di Sant’Agostino, a noi nota solo dai frammenti superstiti), stipulato il 10 dicembre 1500.
Il rapporto con il Perugino, però, è ancora fondamentale agli inizi della sua carriera. Le delicate armonie, l’attenzione per simmetrie compositive e per un’umanità soave e composta risultano talmente congeniali al giovane Raffaello che, a tutt’oggi, l’attribuzione di alcune opere votive di piccolo formato oscilla tra i due maestri. Ma il processo di maturazione del giovane pittore è veloce: nell’Incoronazione della Vergine per San Francesco a Perugia (prima del 1503; ora Roma, Pinacoteca Vaticana) Raffaello appare impegnato in una rilettura dei modelli perugineschi, connotati da sensazioni realistiche più accentuate.
Su questa strada si giunge allo Sposalizio della Vergine (Milano, Pinacoteca di Brera), eseguito per il San Francesco di Città di Castello nel 1504. Anche qui il rapporto con Perugino è evidente (Consegna delle chiavi, Roma, Cappella Sistina; Sposalizio della Vergine, Caen, Musée des Beaux Art), ma le soluzioni raffaellesche sono più "moderne" nell’articolazione spaziale, nel diradarsi prospettico dei piani, rivelando la matrice prospettica urbinate (tra Piero della Francesca e Bramante).
La varietà delle esperienze che sottendono a queste opere ha portato gli studiosi a ipotizzare diversi viaggi di studio: Firenze prima del 1500, Venezia e Padova subito dopo, Roma già nel 1503, Orvieto e Siena nello stesso anno. Del resto, lo stesso Raffaello nel contratto per la pala della Badessa di Monteluce (12 dicembre 1503) afferma che in caso di contestazioni si sarebbe potuto incontrarlo più o meno ovunque: Assisi, Gubbio, Perugia, Roma, Siena, Firenze, Urbino, Venezia. Di certo, come testimonia Vasari, Raffaello realizza i disegni preparatori (Firenze, Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe) per gli affreschi della biblioteca del duomo di Siena, voluti da Francesco Piccolomini (futuro Pio II) e realizzati da Bernardo Pinturicchio tra il 1502 e il 1504. cheapodrugs.com

Il soggiorno fiorentino: 1504-1508
I confini umbri cominciano a sembrare stretti al giovane pittore. Il desiderio di ampliare le proprie conoscenze e, forse, l’eco delle novità che Leonardo e Michelangelo stanno elaborando nella sala del Maggior Consiglio in Palazzo Vecchio nell’ottobre 1504 lo conducono verso Firenze, munito di una lettera di presentazione di Giovanna Feltria della Rovere indirizzata a Pier Soderini.
L’aspirazione verso grandi commissioni pubbliche, in un periodo di intensa attività nella Firenze repubblicana, risulta in realtà inevasa. Nonostante ciò, la produzione di questo periodo, anche se di piccolo formato, rappresenta per l’artista una splendida opportunità per sperimentare moduli compositivi e iconografici.
La tradizione naturalistica fiorentina, così come appare dalle opere di Leonardo, lascia segni tangibili già nella cosiddetta Madonna Terranova (1504-1505; Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie), dove lo schema piramidale, la torsione del Gesù e la dolcezza espressiva sono un palese omaggio al cartone di Sant’Anna di Leonardo. Da qui parte una serrata serie di opere sacre di piccolo formato e ambientate all’aperto, caratterizzate dall’impiego di schemi triangolari composti in modo sempre diverso e armonicamente classico. Così la Madonna del cardellino (15051506; Firenze, Uffizi) verifica ancora la conoscenza dal vivo di opere leonardesche, con in più scoperti riferimenti a Michelangelo. Mediante la Madonna del prato (1506; Vienna, Kunsthistorisches Museum), altra rilettura del cartone leonardesco, si giunge poi alla Belle jardinière (1507; Parigi, Louvre), dove lo studio dei due grandi fiorentini diventa ora aperta sfida nell’ottica rinascimentale di una nuova concezione dell’arte che fonde natura e armonia. Il processo di rilettura del tema sacro familiare si completa con la Sacra Famiglia Canigiani (1507-1508; Monaco, Alte Pinakothek), dove la presenza del san Giuseppe suggerisce all’artista un perfezionamento del consueto schema triangolare.
In modo non dissimile, seppure più vincolato dalla tradizione morale locale, Raffaello opera poi come ritrattista nei ritratti di Maddalena e Agnolo Doni (1506; Firenze, Galleria Palatina), committente del tondo michelangiolesco.
Tra il 1507 e il 1508 Raffaello riceve nuovamente incarichi importanti e pubblici. Atalanta Baglioni, a ricordo del figlio assassinato pochi anni prima, gli commissione una pala d’altare per la chiesa di San Francesco al Prato a Perugia; il risultato è il Trasporto di Cristo, ora alla Galleria Borghese di Roma. Molti disegni superstiti testimoniano il graduale processo di studio della composizione, così come dei singoli personaggi. E’ qui presente una nuova potenza espressiva che è desunta da nuovi riferimenti a Michelangelo: il giovane al centro, la torsione della Maria accovacciata di destra (dal Tondo Doni), il Cristo stesso che appare come una ripresa in controparte della Pietà di San Pietro. Questo dato, assieme alle citazioni drammatizzanti dal Laocoonte scoperto a Roma nel gennaio del 1506, hanno fatto ipotizzare un suo viaggio a Roma già nel 1506. Quel che è certo è che Raffaello appare qui perfettamente a proprio agio nel gestire il grande formato e le composizioni dense e affollate: segno che l’alunnato ideale da Leonardo e Michelangelo può considerarsi ormai concluso.
Quasi a suggello di questo avvenuto passaggio di stato, giunge la tanto desiderata commissione pubblica fiorentina: nel 1507 la famiglia Dei lo incarica di eseguire una pala per Santo Spirito a Firenze. L’artista inizia così la celebre Madonna del Baldacchino (Firenze, Galleria Palatina) che però non completerà mai: alla fine del 1508 Giulio II lo chiama a Roma per l’incarico più prestigioso della sua giovane carriera, la decorazione delle stanze private del papa.



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