|
- Home Page
- Forum
- Invio materiale
- Links
- Contatti
|
|
[ Partners ]
- ENKEY.iT
- DEVA.iT
- Enkey WebSite
- Skuole.net
- Motore di Ricerca
- Carbonia
- ICDweb
- Universo Facile
- Carbonia.net
- Recensioni Giochi
|
|
:: Menu della Tesi :: |
- Schema
- Italiano
- Storia
- Diritto
- Finanze
- Ragioneria
- Tecnica Bancaria
- Geografia
- Spagnolo |
::: Storia
Il secondo dopoguerra
IL NUOVO ASSETTO INTERNAZIONALE
L’egemonia americana
Con un gigantesco sistema economico e un apparato militare senza confronti, gli Stati Uniti dominano lo scenario mondiale del dopoguerra. Da soli e con appena il 6% della popolazione del pianeta gli Stati Uniti producevano e consumavano quasi la metà delle ricchezze del mondo. La loro schiacciante egemonia economica si manifestava nel controllo delle principali risorse dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, dove venivano indirizzati enormi investimenti finanziari, e nel accordo raggiunto a Bretton Woods nel 1944 tra i membri della vecchia Società delle nazioni nella quale il dollaro assumeva il ruolo di valuta di riferimento della finanza internazionale.
Per tutelare i nuovi equilibri usciti dalla guerra e prevenirne ogni eventuale alterazione, per iniziativa sempre degli Stati Uniti, nasce dalla conferenza di San Francisco del 1945, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che stabilì la sua sede a New York.
Il governo di Washington, nei primi mesi del 1947 varava infine un grandioso piano di interventi economici che fu chiamato “piano Marshall” dal nome del segretario di stato. Lo scopo ufficiale di tale operazione era aiutare la ricostruzione nei paesi devastati dal conflitto, ma puntava su obiettivi politici ancora più ambiziosi, cioè controllare politicamente i paesi destinatari. Tuttavia si tennero fuori dal piano sia l’Urss, sia le nazioni dell’Europa Orientale da essa occupate. safedrugstock.com
Il ruolo comprimario dell’Urss
Nel nuovo assetto del mondo anche l’Unione Sovietica iniziò a svolgere un ruolo di grande potenza. La sua ascesa, del resto, poteva rivelarsi pericolosa da un lato, ma era indubbiamente utile per altri aspetti all’ambizioso disegno americano poiché ne legittimava la presenza militare a titolo di difesa di una vera o presunta minaccia comunista nel mondo. Come concordato nel 1945 l’Urss si vide riconosciuta una sfera d’influenza che dall’Europa Orientale (Germania Est, Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria) si proiettava verso i Balcani (Romania, Bulgaria) fino a lambire il Mediterraneo (Albania). Restava invece fuori la Jugoslavia e la Cina, che nel 1949 era divenuta una repubblica popolare diretta dal comunista Mao Tse-tung.
La ricostruzione industriale dell’Urss, concentrata nell’industria pesante, è sostenuta dalle risorse prelevate dei paesi dell’Europa Orientale, garantendo così a Mosca un ruolo almeno in parte comparabile con quello americano sotto il profilo militare.
LA GUERRA FREDDA (1947-1955)
Aggravatosi lo stato di tensione con gli ex alleati, Mosca volle assicurarsi l’assoluto controllo sui territori dell’Europa Orientale, mentre gli Anglo-Americani si proposero dal canto loro di sbarrare il passo alla penetrazione comunista in tutti i paesi dell’Occidente. Una “cortina di ferro”, come Churchill la definì, una linea che da Stettino sul Baltico giungeva fino a Trieste, divise allora l’Europa in due blocchi contrapposti, quello comunista-sovietico e quello americano-atlantico. Oltre cortina si instaurarono regimi di stretta osservanza comunista, per cui furono sciolti o incorporati tutti gli altri partiti e perseguitati gli esponenti democratici non disposti a collaborare.
Il 12 marzo 1947, il presidente Truman annunciò, in un famoso messaggio al Congresso degli Stati Uniti, la determinazione di “sostenere i popoli liberi che resistono ai tentativi di soggiogamento effettuati da parte di minoranze armate o mediante pressioni esterne”. Con questo messaggio si produsse la definitiva rottura della solidarietà, stretta tra gli Alleati per la guerra contro il nazismo, e si ebbe l’inizio della “guerra fredda”.
Sul piano militare gli Americani affrontarono la guerra fredda potenziando le loro armi nucleari già sperimentate contro il Giappone e affrontando, come si disse, il “rischio calcolato” di una guerra distruttiva, allo stesso tempo anche i Russi si gettarono nella gara nucleare, riuscendo ad entrare in possesso nel 1949 della bomba atomica, mettendosi così alla pari coi potenti rivali. Gli americani però ripresero le distanze sul piano tecnologico-bellico facendo esplodere nel 1° novembre 1952, su un atollo del Pacifico, la prima bomba all’idrogeno, detta bomba H, tanto più potente e micidiale di quella lanciata su Hiroschima, bomba A.
La guerra fredda poteva essere evitata? La tesi è stata dibattuta da tutta una scuola di storici americani, detti revisionisti. “La guerra fredda si sviluppò perché i leaders dell’opinione pubblica americana non potevano accettare le conseguenze fondamentali della seconda guerra mondiale; conseguenze spiacevoli per noi ma inevitabili. Nessuno, senza derubare l’Unione Sovietica dei frutti d’una vittoria pagata a carissimo prezzo, avrebbe infatti potuto negarle la garanzia concreta che l’Europa orientale avrebbe cessato di essere il corridoio per nuove invasioni; e d’altra parte rinunciare a sentirsi assolutamente sicura dei regimi che si creavano nella regione equivaleva per la Russia ad avere perso la guerra. Il tentativo americano di mantenere questi paesi nella sfera occidentale non solo originò la guerra fredda, ma rese i nuovi governi dell’Europa orientale più autoritari, più duri, più repressivi di quanto non sarebbero stati altrimenti”.
GLI STATI UNITI ALLA GUIDA DELL’OCCIDENTE
Gli Stati Uniti da Truman ad Eisenhower
Sebbene avessero assunto un ruolo egemonico sulla scena mondiale, gli Stati Uniti non erano privi di problemi interni. E con questi dovette fare i conti Henry Truman che proseguì come esponente del Partito democratico il programma riformistico del predecessore Roosevelt. Ma i suoi tentativi riformistici sono vanificati dalla maggioranza repubblicana che domina il Congresso.
Pur riconfermato alla Casa Bianca fino al 1951, Truman fu costretto a rinunciare a numerosi progetti ispirati al New Deal rooseveltiano. Promossa dagli ambienti conservatori e diretta da una commissione presieduta dal senatore Joseph McCarty, prese il via una campagna persecutoria (maccartismo) da autentica caccia alle streghe contro i comunisti, i sospetti di comunismo e in pratica contro ogni dissidenza progressista. Questo clima repressivo costrinse molti intellettuali di sinistra ad abbandonare gli USA e culminò con la condanna a morte dei coniugi Rosemberg, accusati senza prove di aver trafugato documenti nucleari a favore dell’Urss. Con l’annoso problema dei neri ancora sottoposti alla segregazione razziale negli stati del sud ci fu l’ascesa al potere del generale Dwight Eisenhower (1952), candidato repubblicano, stratega dello sbarco in Normandia e primo comandante della Nato che inaugura una politica più dura nei confronti dell’Urss. Ma costretti dai problemi interni e contenere le spese militari, gli Stati Uniti si dimostrarono allora propensi a riallacciare rapporti con l’Urss. Si attenuava così la guerra fredda al punto che nel 1959 il nuovo leader del Cremino Nikita Kruscev accettava di recarsi in visita negli Stati Uniti, consentendo di porre dei limiti ai folli costi della corsa agli armamenti.
La “nuova frontiera” di Kennedy
Il bisogno di fornire un’immagine più convincente del Grande paese fece vincere nelle elezioni presidenziali del 1960 il candidato democratico John Fitzgerald Kennedy. Il suo programma faceva leva sulla prospettiva di una nuova frontiera. Occorreva combattere la piaga della disoccupazione, potenziare il sistema educativo e quello sanitario ma anche intervenire economicamente a favore dei paesi sottosviluppati. Tuttavia, come già era accaduto con Truman l’opposizione del Congresso a maggioranza repubblicana vanificò gran parte del progetto riformistico del presidente. Mentre si tentò inutilmente di spodestare Fidel Castro a Cuba, si rafforzarono i rapporti con i governi dell’America Latina e furono aperte trattative con i paesi dell’Europa occidentale per liberalizzare gli scambi e assicurare sbocchi di mercato all’agricoltura e all’industria d’oltre Atlantico. Ma nel 1961, i rapporti tra USA e Urss si inaspriscono immediatamente a causa dei problemi a Berlino, in cui venne eretto il “muro”, poi un anno dopo con la scoperta di missili sovietici a Cuba per il quale Kennedy ordinò un blocco navale che minacciò di innescare un conflitto planetario. Alla fine però si risolse tutto in sede diplomatica. Il 22 novembre 1963, mentre era in visita alla città texana di Dallas, il presidente Kennedy veniva assassinato. Ufficialmente il colpevole fu indicato un sedicente comunista ucciso a sua volta in circostanze misteriose, ma le contraddizioni della versione fornita dalle autorità lasciarono aperto il sospetto che il delitto fosse stato eseguito per motivi politici da potenti mandanti destinati a rimanere nell’ombra, così questo caso divenne segreto di stato.
L’ITALIA DELLA RICOSTRUZIONE
I difficili equilibri dopo la liberazione
La situazione dell’Italia alla fine della guerra era quanto mai incerta e difficile. Restava indelebile il ricordo delle gravi perdite umane tra militari e civili, l’agricoltura aveva subito danni rilevanti, la capacità produttiva delle industrie era più che dimezzata, la rete di trasporti era del tutto sconvolta, vigeva il razionamento dei viveri ed era diffuso il mercato nero.
Dopo la resa dei nazi-fascisti (25 aprile 1945) a Milano, il potere politico passa al Comitato di liberazione nazionale dell’alta Italia (Clnai), composto da comunisti, socialisti, azionisti, democristiani e liberali, che propugnava un radicale rinnovamento sociale, come il blocco dei licenziamenti e l’aumento dei salari e favorì la nascita dei consigli di gestione, organismi che dovevano attuare una nuova forma di collaborazione tra operai e imprenditori nell’ottica di un profondo rinnovamento sociale e politico che partendo dal nord avrebbe trasformato l’Italia in una più avanzata democrazia.
Nel 1945 la presidenza del Consiglio passò a una delle più prestigiose personalità dell’antifascismo, Ferruccio Parri, già comandante partigiano e leader del Partito d’azione. Nel nuovo governo confluirono i sei partiti del Comitato di liberazione nazionale romano, Dc, Psi, Pd’a, Pci, Pli, e Democrazia del lavoro, col socialista Nenni agli esteri e il comunista Togliatti alla giustizia.
Il governo Parri dovette però subito scontrarsi con le forze moderate (liberali e democristiani), che respingevano l’introduzione di un’imposta progressiva sui patrimoni, di una forte imposizione fiscale alle grandi aziende e di una moneta che avrebbe colpito l’esportazione di valuta effettuata dagli speculatori durante la guerra, e di fronte alle numerose divergenze tra i partiti del governo, Parri fu costretto a passare le consegne al democristiano Alcide De Gasperi.
LA REPUBBLICA
Il segretario democristiano De Gasperi fu il primo cattolico a presiedere un governo nazionale, formato dagli stessi partiti del precedente escluso il Pd’a, mentre Togliatti, confermato ministro di grazie e giustizia, perseguiva una politica di compromesso per mantenere a tutti i costi un rapporto privilegiato con la Dc. Subiva l’emarginazione il personale nominato dal Cnl durante la lotta di liberazione ed erano reintrodotti i vecchi questori e prefetti, i codici repressivi adottati dalla dittatura fascista furono riconfermati, colpendo i contadini e i partigiani.
In questo quadro di incertezze politiche e di delusione, si tennero le elezioni amministrative (marzo-aprile 1946) che fecero registrare un largo seguito elettorale alla Dc, ma anche ai partiti di sinistra. Il 2 giugno 1946 si tenne il referendum con cui gli elettori dovevano scegliere tra monarchia e repubblica, eleggendo contemporaneamente, se avessero optato per la seconda, i 556 deputati dell’Assemblea costituente. A favore della repubblica era lo schieramento progressista, mentre per la monarchia erano i moderati e la Chiesa. Il diritto di voto fu esteso per la prima volta alle donne e il corpo elettorale salì così a circa 25 milioni di persone. Prevalse con leggero scarto la repubblica, confermando però la divisione tra nord e sud dove gran parte delle regioni si erano espresse a favore della monarchia. Di conseguenza Umberto di Savoia, succeduto da poche settimane al padre Vittorio Emanuele III che aveva abdicato, abbandonò l’Italia e si ritirò in esilio in Portogallo. Anche nelle elezioni per la costituente la Dc si riconfermò come il partito di maggioranza relativa. Poco dopo Enrico de Nicola, un liberale indipendente, venne eletto presidente provvisorio della repubblica, al quale succederà nel 1948 il piemontese Luigi Einaudi, anch’egli di scuola liberale.
A partire dal giugno 1946 fu estesa la Costituzione italiana da una commissione presieduta da Meuccio Ruini e composta da 75 rappresentanti tra i più qualificati delle forze politiche ed esperti di diritto. Approvata il 22 dicembre 1947 (453 voti favorevoli e 62 contrari) entrò in vigore il 1° gennaio 1948 sostituendo definitivamente lo Statuto Albertino del 1848. Qualche anno prima, il 21 Aprile 1942, venne emanato il Codice Civile attualmente in vigore. Il codice fu composto da 2969 articoli suddivisi in 6 libri: Delle persone e della famiglia; Delle successioni; Della proprietà; Delle obbligazioni; Del lavoro; Della tutela dei diritti.
|