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- Materie : : : Scienze Ambientali

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1. Introduzione
Le Scienze ambientali, in ecologia, sono un insieme dei fattori esterni a un organismo che ne influenzano la vita. Il termine ambiente viene anche comunemente inteso, in senso più ampio, come il complesso degli elementi naturali (quali la flora, la fauna, il paesaggio) e delle risorse che circondano un determinato organismo e, in particolare, gli esseri umani. Una specifica accezione è quella di ambiente interno, che si riferisce all’insieme delle caratteristiche interne a un organismo, soprattutto di natura chimica (ad esempio, le concentrazioni delle sostanze dei fluidi corporei).

2. Fattori Ambientali
I fattori ambientali possono essere di natura chimica (quali la concentrazione dei sali minerali disponibili, il valore di pH, la presenza di fattori di crescita o inibitori) e di natura fisica (come la temperatura, l’esposizione alla luce solare, lo spazio disponibile, la pressione, la presenza di campi elettrici o magnetici, la circolazione dei venti); sono quindi detti abiotici (letteralmente, “senza vita”) perché non comprendono alcun elemento biologico.
In realtà, la sopravvivenza di ciascun individuo non dipende soltanto da questi fattori, ma anche dalle interazioni che esso ha con gli altri viventi, siano essi cospecifici (della stessa specie) o di specie diverse. La possibilità di un organismo di accedere alle risorse ambientali, ad esempio, può essere limitata da fenomeni di competizione, oppure facilitata da rapporti di mutualismo. L’interazione tra i fattori ambientali e gli organismi viventi porta alla formazione di un complesso sistema in cui tutti gli elementi sono tra loro connessi da scambi di energia e di materia, e definito ecosistema. rxfastfind.com

Fattori limitanti
Ciascun organismo, per la sua sopravvivenza, deve disporre di determinate quantità di ciascun fattore; alcuni fattori, però, sono in grado di influenzare l’attività degli altri e vengono detti limitanti. Ad esempio, per un animale che richiede condizioni aerobiche (cioè la presenza di ossigeno) per compiere la respirazione, il parametro “ossigeno” è limitante rispetto ad altri, quali lo spazio o il grado di illuminazione, perché, anche se questi sono abbondanti, in assenza di questo gas l’organismo non può sopravvivere: l’ossigeno, in questo caso, è fattore limitante.
Un fattore che è limitante per un organismo può non esserlo per un altro; riprendendo l’esempio precedente, la quantità di anidride carbonica non è limitante per l’animale che attua la respirazione, mentre lo è per una pianta che la utilizza per la fotosintesi. Ancora, un fattore può essere limitante o meno in condizioni diverse: ad esempio, la luce solare giunge sulla terraferma in quantità tale da permettere la fotosintesi, ma penetra nell’acqua solo fino a una certa profondità, diventando limitante per lo sviluppo delle alghe.

Capacità portante
I fattori ambientali non permettono lo sviluppo indefinito degli organismi, ma il raggiungimento di un determinato valore di biomassa che prende il nome di capacità portante dell’ambiente. La capacità portante è un valore teorico; in natura, la crescita demografica delle popolazioni è soggetta al controllo operato dai fattori limitanti, ovvero alla resistenza ambientale, che bilancia la spinta all’accrescimento.

Resistenza ambientale
La pressione esercitata su un organismo dal complesso di tutti i fattori limitanti, definisce la resistenza ambientale. Questo parametro incide sulla dinamica delle popolazioni impedendone il raggiungimento del massimo sviluppo demografico, ovvero la crescita fino alla capacità portante.

Atmosfera, Idrosfera, Litosfera e Biosfera
Se si intende l’ambiente in un’accezione più ampia – il complesso degli elementi naturali che circondano i viventi – sulla Terra è possibile individuare tre grandi settori (o meglio, “sfere”) nei quali tali elementi si ripartiscono: l’atmosfera, la idrosfera e la litosfera. Questi settori interagiscono fra di loro e con un quarto raggruppamento, la biosfera, che comprende tutte le forme di vita; l’ambiente-Terra si può considerare un sistema in cui questi quattro elementi si mantengono in equilibrio.
L'atmosfera è formata da una miscela di gas (prevalentemente azoto, ossigeno, idrogeno, anidride carbonica, vapore acqueo) e particelle liquide e solide. Fornisce l’ossigeno necessario alla respirazione degli esseri viventi e li protegge dagli effetti dannosi dei raggi ultravioletti provenienti dal Sole. Lo strato dell’atmosfera a contatto con la superficie terrestre assume temperature diverse a seconda della latitudine e della natura geologica del suolo ed è interessato dai fenomeni meteorologici, che determinano il clima e quindi condizionano la biosfera. La idrosfera è composta dalle acque che ricoprono il pianeta: il 97% è rappresentato dagli oceani e dai mari, il 2% è concentrato nelle calotte polari e nei ghiacciai e l'1% è presente nei fiumi, nei laghi, nei corsi d'acqua sotterranei, nell'aria e nel suolo. La litosfera comprende le rocce che, rigide e solide, sono comunque interessate da lenti processi di trasformazione; la sua porzione più superficiale subisce l’azione dell’aria e dell’acqua e dà luogo alla formazione del suolo, necessario allo sviluppo degli organismi.
Le caratteristiche dell’atmosfera, della idrosfera e della litosfera sono mutate nel corso della storia geologica della Terra. Per effetto della deriva dei continenti (un fenomeno connesso alla tettonica a zolle) le masse continentali si sono separate, gli oceani hanno invaso la terraferma o si sono ritirati, alcune catene montuose si sono sollevate, mentre altre sono state completamente erose. La temperatura ha subito numerose oscillazioni, modificando la distribuzione della flora e della fauna. Si sono susseguite numerose glaciazioni, la più recente delle quali ha avuto luogo nel Quaternario, durante il Pleistocene (tra 2,5 milioni e 10.000 anni fa). Nell'epoca successiva al Pleistocene (vale a dire quella attuale, denominata Postglaciale o Olocene), l'ambiente non ha sostanzialmente subito altre trasformazioni geologiche significative.
L’uomo ha profondamente modificato il suo ambiente, utilizzandone le risorse, rimodellando il paesaggio, creando agglomerati urbani e industriali. Ogni intervento sulle complesse relazioni dell’ambiente-Terra ha spesso effetti imprevisti, e può alterare altri equilibri; si pensi, ad esempio, agli effetti dell’inserimento di una nuova specie in una regione in cui prima non esisteva, come nel caso dei conigli immessi in Australia nel XVIII secolo e, divenuti eccessivamente numerosi, poi combattuti negli anni Cinquanta diffondendo il poxvirus della mixomatosi.

3. Conservazione Ambientale
Insieme degli interventi che vengono adottati per salvaguardare le risorse naturali, e in particolare il suolo, l’acqua e la biodiversità.
Le risorse naturali si dividono in due categorie, a seconda che, una volta sfruttate, possano essere rigenerate o meno: quella delle risorse rinnovabili e quella delle non rinnovabili. Tra le prime si annoverano la fauna e la flora. Le risorse non rinnovabili sono invece quelle che non possono essere rigenerate o che possono esserlo solo in tempi geologici. Si annoverano in questa categoria i combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) e i minerali.
La conservazione dell'ambiente naturale interessa diversi campi quali la gestione del paesaggio e del territorio, il ripristino degli ecosistemi, la difesa dell'ambiente dalle varie forme di inquinamento, la pianificazione paesistica, i programmi di sviluppo sostenibile e, in generale, ogni attività che mira a recuperare la funzionalità ecologica dell'ambiente. Problemi come la riduzione delle emissioni di gas-serra e di sostanze inquinanti o il progressivo depauperamento delle risorse ittiche richiedono un'azione coordinata a livello internazionale. La salvaguardia dell'ambiente a livello globale è inscindibilmente legata al controllo dell'incremento demografico mondiale e a un uso più razionale delle risorse e dell'energia.

Conservazione delle Foreste
La tutela delle foreste è affidata a strategie di protezione su vasta scala legate a convenzioni internazionali e a politiche locali e a programmi di gestione silvicola razionale. Uno strumento fondamentale di difesa del patrimonio boschivo consiste nel costante monitoraggio dello stato fitosanitario; la diffusione di molte malattie può essere controllata per mezzo di antiparassitari o di sistemi di lotta biologica, mentre la rimozione delle sterpaglie e l'abbattimento selettivo di alcuni alberi possono diminuire il rischio di incendi e rinvigorire l'intero ecosistema. È inoltre possibile regolamentare il taglio degli alberi secondo criteri di sostenibilità: tagli meno frequenti e più selettivi, uniti a una politica di ripristino e di sviluppo del sistema forestale possono contribuire, ad esempio, a ristabilire almeno parzialmente il patrimonio boschivo anche dal punto di vista qualitativo.
La legislazione forestale vigente in Italia riconosce al bosco una funzione pubblica ai fini della difesa del suolo dal dilavamento, dalle frane, dall’erosione; allo scopo di garantire l’integrità del patrimonio boschivo, l’uso di quest’ultimo è sottoposto a limitazioni, quali l’istituto del vincolo idrogeologico esteso a tutti i terreni che possano “subire denudazioni, perdere stabilità e turbare il regime delle acque” (art. 1 R.D. 3267/1923).

Conservazione delle Aree di Pascolo
In alcune regioni del mondo lo sfruttamento eccessivo dei pascoli ha portato alla desertificazione di vasti territori. La difesa dei terreni da pascolo si fonda principalmente sull'adozione di tecniche di sfruttamento sostenibile e limitato delle piante da foraggio, in modo da consentirne la crescita e la riproduzione. Il numero dei capi di bestiame che pascolano su un certo terreno deve essere proporzionato alla capacità di carico del terreno stesso e il pascolo deve essere permesso solo in alcune stagioni, così da consentire la ricrescita della vegetazione. In alcuni casi, è necessario ripristinare la copertura vegetale con la semina o altri interventi.

Conservazione della Fauna
La conservazione delle specie selvatiche si basa, in primo luogo, sulla difesa degli habitat naturali in cui tali specie vivono, così da consentirne la crescita e la riproduzione. La bonifica dei territori, l'espansione urbanistica e la frammentazione degli ambienti naturali in aree poco estese alternate ad ambienti fortemente antropizzati minacciano l'esistenza di intere comunità animali, causando la rarefazione o l’estinzione delle specie più fragili da un punto di vista ecologico. L'istituzione di parchi e oasi faunistiche è parte integrante dei piani e delle politiche di conservazione delle specie.

Conservazione del Suolo
Un'efficace strategia di difesa dei suoli prevede due tipi di intervento: da un lato, il controllo dei naturali fattori di degrado (acqua, vento ecc.), mediante opere di rimboschimento e di ripristino del paesaggio; dall’altro, un razionale uso del territorio e sfruttamento del suolo, che cerchi di conciliare le esigenze sociali ed economiche con la reale disponibilità di risorse naturali sul territorio. Per attuare ciò, è opportuno stabilire quale sia la composizione e la capacità di carico del suolo di una determinata area e, attraverso la valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), stimare l’effetto sul territorio delle attività umane. La conservazione del suolo richiede una riduzione delle varie forme di inquinamento di origine urbano-industriale; nel caso particolare del terreno agricolo, si dovrebbero rivalutare le tecniche di rotazione colturale e la pratica del maggese, che consiste nel lasciare i campi incolti per un certo periodo tra una coltivazione e l'altra, per consentire al terreno di rigenerarsi.
I fenomeni di erosione possono essere controllati anche applicando tecniche come la coltivazione a terrazze, con cui si rallenta lo scorrimento delle acque di scolo, o la coltivazione a strisce, in cui campi coltivati vengono alternati a terreni a maggese; questa seconda tecnica si è rivelata particolarmente efficace nelle regioni semiaride più colpite dall'erosione del vento.
Nell’ambito della conservazione del territorio, un ruolo rilevante ha la protezione delle zone umide, poiché paludi e acquitrini, fungono spesso da bacino di riserva per le falde acquifere, trattenendo l'acqua piovana e scaricandola gradualmente e lentamente nel sottosuolo.

La conservazione ambientale in Italia
Attraverso il sistema dei parchi e delle riserve, in Italia sono tutelati oltre due milioni e mezzo di ettari di territorio, oltre l'8% della superficie totale della penisola. Per proteggere le aree a maggior rischio di frane e di inondazioni, sono state attivate misure di salvaguardia da parte delle Autorità di bacino e delle Regioni, con piani per la prevenzione e la messa in sicurezza di tali aree. Per la tutela delle acque, sono stati avviati interventi legati a situazioni locali particolarmente critiche (Venezia, Puglia e Sarno) ed è stato attuato il Piano straordinario della depurazione. Alcune direttive comunitarie – in particolare la 91/271 relativa alle acque reflue urbane e la 91/676 relativa alla protezione dei nitrati da fonti agricole – recepite dalla legislazione italiana, hanno come obiettivo prioritario la protezione, il risanamento e l'uso razionale delle acque.

4. L'Effetto Serra
Fenomeno climatico di riscaldamento degli strati inferiori dell’atmosfera terrestre, causato dall’assorbimento da parte di alcuni gas della radiazione infrarossa emessa dalla Terra. L’effetto serra riveste una importanza fondamentale per gli organismi viventi, perché limita la dispersione del calore e determina il mantenimento di una temperatura costante del pianeta. Tuttavia, l’immissione in atmosfera di elevate quantità di anidride carbonica (CO2) e altri gas, dovuta alle attività industriali, ha potenziato l’effetto serra naturale e sta determinando un anomalo aumento della temperatura, fenomeno noto come riscaldamento globale.

Effetto serra naturale
La radiazione solare diretta sulla Terra è caratterizzata da onde corte, comprese nella fascia del visibile e dell’ultravioletto; dopo avere colpito la superficie del pianeta, viene in parte riflessa sotto forma di radiazione infrarossa a onda lunga, che corrisponde al calore disperso dalla Terra. Alcuni gas presenti in atmosfera si lasciano attraversare dalla radiazione solare incidente, mentre assorbono la radiazione infrarossa; in altri termini, il calore disperso dal pianeta viene in parte intrappolato nell’atmosfera, determinandone il progressivo riscaldamento. Grazie all’effetto serra, la temperatura media della Terra si mantiene intorno a 15°C. I gas coinvolti in questo fenomeno sono detti genericamente gas serra e comprendono l’anidride carbonica (che da sola contribuisce al 70% dell’effetto serra), il metano (responsabile di circa il 23% del fenomeno) il vapore acqueo, il protossido di azoto (o ossido di diazoto), l’ ozono e i clorofluorocarburi (CFC, correlati anche con il fenomeno del buco nell’ozono).

Riscaldamento Globale
Dalla rivoluzione industriale, l’incremento nell’uso di combustibili fossili ha causato un aumento del 30% della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, che ha raggiunto 358 ppm (parti per milione). Tale condizione si è aggravata a causa della progressiva distruzione delle foreste (deforestazione) che, eliminando le piante, ne annulla l’azione fotosintetica di riciclaggio della CO2; in questo modo, nell’atmosfera si accentua lo squilibrio tra input (immissione) e output (fuoriuscita) di anidride carbonica. Nel corso della seconda metà del XX secolo, si è registrato anche l’incremento di altri gas serra; in particolare, del metano, derivante da allevamenti di ruminanti, dalle risaie e dalle attività industriali, che è aumentato del 145%; degli ossidi di azoto, prodotti da alcune lavorazioni agricole e dai gas di scarico degli autoveicoli; dell’ozono degli strati più bassi dell’atmosfera (troposfera), prodotto per effetto di reazioni chimiche di agenti inquinanti.
L’aumento dei gas serra ha determinato dal 1860 un riscaldamento globale della Terra di 0,3-0,6°C, fenomeno che si è verificato soprattutto dopo il 1970. L’attuale tendenza sembra verso un ulteriore incremento della temperatura, che entro i prossimi 100 anni potrebbe ulteriormente crescere da 1,5 a 4°C.

Effetti del riscaldamento globale
Il riscaldamento globale avrebbe gravi conseguenze per tutti gli ecosistemi; in particolare, potrebbe causare lo scioglimento delle calotte polari e comportare un netto innalzamento del livello medio marino. Il riscaldamento del globo porterebbe all’aumento della temperatura delle acque marine, specialmente vicino alla superficie, modificando le correnti oceaniche, il moto ondoso e la salinità; la geografia degli ecosistemi marini subirebbe profondi cambiamenti. In Italia, entro il 2050, potrebbe verificarsi un aumento del livello del mare di 25-30 centimetri, con un rischio di inondazione di migliaia di chilometri quadrati di aree costiere e pianure. Il ciclo idrologico sarebbe più veloce perché le temperature più elevate aumenterebbero l'evaporazione, incrementando le piogge; queste risulterebbero più copiose nelle regioni costiere, mentre nelle regioni più interne, specialmente ai tropici, le piogge diminuirebbero. L'aumento di temperatura porterebbe allo scioglimento dei ghiacci e del permafrost e ridurrebbe la copertura nevosa invernale in vaste aree del pianeta. L’impatto sullo scioglimento stagionale delle nevi e sulla portata dei fiumi avrebbe conseguenze tali da danneggiare numerose attività umane, dall'agricoltura alla produzione di energia idroelettrica. Le praterie africane verrebbero ancor più colpite dalla siccità, con una accelerazione della desertificazione. Per quanto riguarda la produzione agricola, le variazioni regionali dei mutamenti climatici potrebbero produrre variazioni locali nei raccolti che risulterebbero più a rischio nelle aree tropicali e subtropicali. Per quanto riguarda i vegetali, sensibili ai cambiamenti climatici, un aumento di 1°C sarebbe sufficiente a eliminare molte specie.

La nascita dell'IPCC
La complessità delle possibili conseguenze del mutamento climatico del pianeta, l’interazione di fattori diversi nell’origine dell’effetto serra, la necessità di stabilire linee-guida unitarie tra i paesi maggiormente responsabili delle emissioni inquinanti, hanno indotto nel 1988 la creazione dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change), con sede a Ginevra, da parte di due istituti dell’ONU, il WMO (World Meteorological Organization) e l’UNEP (United Nations Environment Programme), i cui membri accedono liberamente ai gruppi di lavoro dell’IPCC. Questa organizzazione nel 1992 ebbe un ruolo essenziale nella fondazione dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), che si occupa principalmente degli aspetti politici legati al tema del riscaldamento globale. L’IPCC ha pubblicato tre “Assessment Report Climate Change”, il più recente dei quali è del luglio 2001; il secondo, pubblicato nel 1995, fornì fondamentali dati scientifici, tecnici e socioeconomici ai rappresentanti di oltre 170 paesi, i cui negoziati nel 1997 portarono alla firma del documento noto come Protocollo di Kyoto; a tale accordo, che rappresenta un caposaldo nella strategia mondiale per arginare il problema dell’effetto serra e del riscaldamento globale, hanno fatto seguito successivi incontri internazionali in cui sono stati stabiliti limiti e strategie politico-economiche per la riduzione delle emissioni di gas-serra.

5. La Deforestazione
Abbattimento degli alberi di una foresta effettuato principalmente per scopi commerciali o per ottenere terreno coltivabile. Questo fenomeno interessa in modo particolare le foreste tropicali.

Effetti della deforestazione
Il taglio indiscriminato della vegetazione comporta numerosi effetti negativi negli equilibri della biosfera. In primo luogo, si riscontra un decremento della fertilità del suolo e l’incremento dei processi di erosione. L'acqua piovana che dilava il suolo, erodendolo, trascina il relativo materiale in direzione dei corsi d'acqua; la sedimentazione e l’accumulo dei detriti ha effetti negativi sugli ecosistemi acquatici. Dove il clima è più secco, la deforestazione può innescare il processo di desertificazione.
Le piante tendono a mantenere stabile la concentrazione in anidride carbonica nell’atmosfera; l’aumento incontrollato del consumo di combustibili fossili, sommato alla ridotta capacità della fascia verde di rimuovere questi elementi, sta portando all’aumento della concentrazione atmosferica di CO2. Tale incremento potrebbe portare al progressivo aumento della temperatura del pianeta (effetto serra e riscaldamento globale).
Se l’ecosistema forestale viene sostituito da colture, il ciclo della materia dell’ecosistema viene alterato. Il prelievo dei raccolti rappresenta un’asportazione dei nutrienti senza che la materia possa tornare a circolare, come avviene nell’ecosistema.
Il suolo della foresta tropicale, attualmente soggetta a intenso disboscamento, è, per le sue caratteristiche chimico-fisiche, fisiologicamente poco fertile. Lo sfruttamento agricolo conseguente alla deforestazione e i sistemi di coltivazione adottati risultano perciò particolarmente dannosi perché poco adatti a quel clima e a quelle condizioni ambientali, e conducono rapidamente il suolo alla sterilità. Brasile, Indonesia, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Colombia, India, Malaysia, Messico, Nigeria e Thailandia stanno attualmente operando il 76% della deforestazione mondiale. In particolare, dagli anni Cinquanta del XX secolo il tasso di ricambio delle foreste pluviali, ossia il ritmo con cui muoiono e crescono gli alberi, è costantemente aumentato; ciò indica che le foreste osservate stanno diventando più giovani mentre d’altra parte si affermano alberi e rampicanti a crescita veloce e dalla vita breve, ovvero i tipi di piante che prosperano in habitat ricchi di anidride carbonica e sottoposti a eventi atmosferici estremi.
Secondo alcune stime, negli anni Ottanta le foreste pluviali venivano abbattute a un ritmo di 20 ha/min e ogni anno venivano diboscati più di 200.000 km2. Nel 1993, i dati raccolti dai satelliti hanno confermato che, nella sola Amazzonia, le foreste venivano distrutte a un ritmo di 15.000 km2/anno.

Deforestazione e conservazione ambientale
Il degrado di molte aree forestali, in particolare nei paesi in via di sviluppo e in quelli in transizione verso economie di mercato, ha alimentato una maggior sensibilità ambientale, determinando una crescita importante nelle richieste di aree protette, nell’attuazione di sistemi di gestione sviluppo sostenibile, basati su criteri ampiamente riconosciuti e condivisi, e nella ricerca di prodotti eco-compatibili.
Le problematiche relative alla corretta gestione delle foreste tropicali non sono di semplice soluzione: l'uso della risorsa legno è in alcuni casi, legato ad esigenze di reale sopravvivenza, in altri alle foreste vengono preferiti altri usi del suolo più remunerativi, in altri ancora il taglio e l'esportazione di legname rappresentano uno strumento per il conseguimento di una generale crescita economica.
Nel Canada e, in particolare, nella Columbia Britannica, dove ogni anno vengono abbattuti circa 2200 km2 di foreste (in pratica, l'1% del patrimonio forestale locale sfruttabile commercialmente), le autorità locali sono corse ai ripari e fin dal 1987 hanno imposto alle imprese che si occupano del taglio e del trasporto dei tronchi di ripiantumare le aree diboscate entro cinque anni dal disboscamento.
A Rio de Janeiro, nel 1992, attraverso la Conferenza delle Nazioni Unite per l'Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) si è cercato di rendere attuabile e controllabile il concetto di gestione forestale sostenibile (GFS). Si è cercato cioè di promuovere un equilibrio, sia a livello locale che globale, tra le funzioni economico-produttive, ecologico-ambientali e socio-culturali degli ecosistemi forestali, in maniera che questi continuino a fornire i loro benefici. Tale gestione forestale ecocompatibile ha portato alla formazione di organizzazioni quali il Forest Stewardship Council, che inizialmente si è interessato alla salvaguardia delle foreste tropicali ma che ha visto una rapida diffusione in Nord-America ed Europa, ove si sono costituiti specifici gruppi di acquisto dei prodotti da esso certificati.

Il problema della deforestazione in Europa e in Italia
In Europa, ove la cultura della gestione forestale (vedi Conservazione ambientale) possiede una lunga tradizione, la superficie forestale è in espansione. Infatti, mentre nel corso dei secoli XVIII e XIX, il diboscamento delle foreste è aumentato in tutta Europa e nel Nord America, in parallelo con l'espansione dei grandi centri urbani che facevano aumentare la domanda di materiale combustibile, con l'introduzione di nuove tecniche agronomiche e il conseguente incremento della produttività per ettaro, molti terreni agricoli sono stati successivamente abbandonati e si sono gradualmente ritrasformati in foreste.
In Italia – dove il patrimonio boschivo ammonta a circa 10 milioni di ettari – le norme per la conservazione del patrimonio forestale e i "piani economici" (o "di assestamento") previsti dalla legge nazionale (R.D. n° 3267 del 1923) per la gestione dei boschi pubblici, sono stati stabiliti con lo scopo di valorizzare le funzioni di produzione e protezione idrogeologica del territorio. Il concetto di sostenibilità è presente nella più recente legislazione nazionale e negli impegni intergovernativi sottoscritti dal nostro Paese; in ambito montano, le produzioni del bosco diverse dalla produzione legnosa sono diventate prioritarie, l'industria di trasformazione si è rivolta anche al legname prodotto in impianti specializzati, che determinano una minor pressione sui popolamenti forestali offrendo materiale legnoso più omogeneo di quello di origine naturale.
Da uno studio della Coldiretti effettuato sul territorio italiano tra il 1990 e il 2000 emerge che le superfici a bosco rivestono il 34% della superficie nazionale, contro una percentuale media, a livello mondiale, pari al 29%. Mentre nel pianeta, nell'ultimo decennio, sono andati perduti 9 milioni di ettari di foreste ogni anno, nel nostro paese le superfici boschive sono aumentate del 30%. Bisogna considerare però che anche gli incendi sul territorio italiano hanno subito un notevole incremento e ciò farebbe supporre che parte della crescita del patrimonio forestale potrebbe essere dovuta anche all’abbandono del patrimonio boschivo e a una mancata gestione di esso.

6. La Desertificazione
Fenomeno di progressivo degrado del suolo che avviene nelle zone a clima arido, semiarido e subumido, risultante da una combinazione di fattori climatici e antropici. Il suolo si impoverisce progressivamente delle sue proprietà chimico-fisiche che lo rendono fertile e lavorabile, fino al punto da non riuscire a sostenere l’insediamento di comunità animali e vegetali e, quindi, l’equilibrio dell’ecosistema e la realizzazione di pratiche agronomiche. La desertificazione di un territorio non va confusa con l’espansione dei deserti, ossia la desertizzazione, poiché la "sterilizzazione" del terreno che si riscontra nel primo caso può verificarsi anche in aree fortemente irrigate o situate a latitudini lontane dalle regioni desertiche.

Cause del fenomeno
Il processo di degradazione del suolo deriva da una complessa interazione di fattori diversi, naturali e antropici; si ritiene però che, nell’avvio del processo di desertificazione, rilevante siano le conseguenze di una errata gestione del terreno; con ciò si comprende, in senso ampio, l’impiego di sistemi di coltivazione non adeguati alle condizioni climatiche e alle caratteristiche del suolo, lo sfruttamento scorretto delle risorse idriche, l’abbattimento della vegetazione (la deforestazione, che favorisce, tra l’altro, l’azione erosiva del vento e il dilavamento delle sostanze minerali presenti nel terreno), l’eccessiva pressione di pascolo (grazing) operata dagli erbivori di allevamenti zootecnici.

Effetti
La desertificazione si manifesta con la diminuzione o la scomparsa della produttività e biodiversità delle terre coltivate, sia irrigate che non, delle praterie, dei pascoli, delle foreste o delle superfici boschive. Quando il carico di bestiame è superiore a quello che i pascoli possono sostenere, alle specie vegetali perenni si sostituiscono specie annuali e arbusti di cui il bestiame non si ciba; le specie erbacee regrediscono; il calpestio degli animali altera irreversibilmente la superficie del terreno; infine, il suolo resta esposto all'azione erosiva dei venti e delle acque.
I terreni che non vengono lasciati riposare (cioè che non vengono lasciati incolti o a maggese per lunghi periodi), quelli che vengono lavorati troppo in profondità con mezzi meccanici e quelli coltivati a monocoltura, perdono progressivamente la propria fertilità e possono andare soggetti a fenomeni di erosione. Agli inizi degli anni Trenta, vaste aree delle praterie semiaride delle Grandi Pianure, negli Stati Uniti, vennero arate in profondità per avviare la coltivazione estensiva dei cereali. Quando le Grandi Pianure, nel 1931, furono colpite dalla siccità, l'erosione eolica produsse violentissime tempeste di sabbia. Una serie di avvenimenti catastrofici, in particolare la grave siccità, ha colpito il Sahel dal 1968 al 1974. La stessa sorte è toccata alle aree circostanti Ouagadougou, nel Burkina, Dakar, nel Senegal, e Khartoum, nel Sudan.

Provvedimenti
Il problema della desertificazione fu trattato per la prima volta in modo globale nel 1956 quando, a Rio de Janeiro, si tenne il convegno dell’Unione internazionale dei geografi; il termine “desertificate” designava in quella sede le regioni tropicali dell’Africa soggette a un uso non corretto delle risorse. Successivamente si tennero i meeting di Montreal del 1972 e di Mosca del 1976. Nel 1977 ebbe luogo a Nairobi la Conferenza delle Nazioni Unite sulla Desertificazione. A partire dal 1984, il Programma Ambientale delle Nazioni Unite (Unep) ha promosso e coordinato diverse iniziative volte a prevenire e arginare il fenomeno della desertificazione. Nel 1992, fu adottata la "Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta contro la desertificazione, nei paesi gravemente colpiti dalla siccità e/o dalla desertificazione, in particolare in Africa". I paesi membri si sono riuniti per la prima sessione della Conferenza delle Parti (COP) a Roma nel 1997. La Convenzione prevede, tra i diversi organi costituenti, uno strumento finanziario. Di desertificazione si occupano anche varie agenzie ONU tra le quali FAO, il Programma ONU per lo Sviluppo (UNDP), l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, UNEP, UNESCO.
Secondo le Nazioni Unite, sono circa 110 i paesi colpiti da desertificazione: sarebbero a rischio di desertificazione il 70% delle terre aride coltivabili, pari a circa il 30% del totale delle terre emerse. Il problema è particolarmente grave in Africa e nei Paesi in via di sviluppo di Asia, America Latina e Caraibi, ma anche Stati Uniti, Australia, Europa meridionale e orientale sono interessati al fenomeno. Ad esempio, il 33% della superficie dell'Europa è minacciato dalla desertificazione, mentre il 10% e il 31% delle terre italiane sono, rispettivamente, a forte e a medio rischio di erosione (dati della Commissione europea per l'ambiente). Secondo il Ministero dell’Ambiente, che presiede il Comitato Italiano di lotta alla desertificazione, circa il 27% del territorio è minacciato da processi di inaridimento dei suoli. In particolare, il Mediterraneo settentrionale (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna, Turchia) è colpito da desertificazione per effetto di fattori climatici, della crisi dell’agricoltura e conseguente abbandono delle terre, dell’erosione idrica ed eolica, dello sfruttamento non sostenibile delle risorse idriche soprattutto nelle fasce costiere per usi agricoli, industriali, urbani. Alla fine di settembre 2000, erano 167 i Paesi che hanno ratificato la Convenzione ONU per la lotta alla desertificazione (UNCCD), compresi tutti quelli europei.

Alcuni esempi di intervento
L'assetto dei deserti e dei territori confinanti è naturalmente soggetto a mutamenti legati all'andamento delle piogge e al perdurare di lunghi periodi di siccità. Secondo alcuni, le dimensioni del problema a livello planetario sono state sopravvalutate anche a causa delle difficoltà di stimare con precisione la superficie totale messa a rischio dalle attività umane. Alcune iniziative, comunque, hanno effettivamente contribuito a frenare il processo di desertificazione: in alcune regioni poste ai margini del Sahara, ad esempio, sono state impiantate "cinture vegetali" formate da schiere di alberi particolarmente resistenti: nel Sahel, tale pratica ha consentito di strappare alla desertificazione centinaia di ettari di terreno e di salvare alcuni villaggi che altrimenti sarebbero scomparsi.
Le soluzioni adottate più di recente si differenziano radicalmente da alcune impostazioni precedenti. In particolare, si valorizzano ipotesi di intervento mirate a un determinato territorio, dando maggiore rilievo al coinvolgimento delle comunità locali, al ripristino di preziose pratiche tradizionali e alla rivalutazione del ruolo delle comunità rurali per limitare il degrado del territorio. Inoltre, mentre in passato si tendeva a cercare soluzioni di tipo prevalentemente tecnico-agronomico, oggi si tende ad affrontare la globalità del problema, spesso strettamente associato alla continua crescita demografica, nonché a fattori di natura politica e socioeconomica.

7. La Siccità
Condizione climatica di anormale aridità, in una regione geografica di norma caratterizzata da precipitazioni relativamente regolari. La siccità si distingue dall’aridità, termine che indica una situazione climatica costante o stagionale.

Cause ed effetti
Il fenomeno della siccità è dovuto a uno squilibrio che si viene a creare nel ciclo idrologico ed è causa dell'inaridimento dei pozzi e dei bacini idrici di riserva. Privando i terreni dell'acqua necessaria alle colture, la siccità provoca gravi danni all’agricoltura e ai raccolti. La gravità del fenomeno viene misurata in base al grado di carenza di umidità, al periodo di persistenza di tale condizione e all’estensione dell'area colpita. Se la mancanza di precipitazioni apprezzabili si protrae per periodi relativamente brevi, si preferisce definire il fenomeno “siccità parziale” o più semplicemente “periodo di tempo asciutto” (o “secco”) o anche “episodio di siccità”. Nei casi di siccità vera e propria, invece, la mancanza di piogge può protrarsi per anni, e si parla di “siccità prolungata”.
La siccità tende a colpire più duramente determinate aree del pianeta, e, in particolare, quelle poste tra i 15° e i 20° di latitudine, nelle regioni prossime ai grandi deserti. Le aree desertiche sono in genere caratterizzate da un'aridità permanente provocata dalla presenza di masse d'aria calda (provenienti dalle zone tropicali) che, scendendo verso il livello del suolo, tendono a riscaldarsi e a perdere progressivamente umidità (vedi Meteorologia). Quando i venti prevalenti occidentali cambiano direzione deviando verso i poli, le condizioni di alta pressione che tipicamente stazionano sulle regioni permanentemente aride si spostano sulle aree limitrofe, normalmente soggette a un ciclo stagionale di basse pressioni accompagnato da abbondanti precipitazioni. In tal modo, si determina una condizione di siccità che può protrarsi per periodi più o meno lunghi. Proprio uno di questi anomali cambiamenti di direzione dei venti occidentali fu la causa della più grave siccità del XX secolo, quella che colpì per circa dieci anni la regione del Sahel, in Africa, a partire dal 1968. Nella regione del Sahel la situazione è aggravata da fenomeni di desertificazione, provocati dall'eccessivo sfruttamento dei pascoli e dei terreni agricoli, oltre che dalla presenza di conflitti.

Zone a rischio
La siccità colpisce duramente alcune zone del pianeta: il 30% del territorio del Sud America, il 60% dell'Asia e l'85% dell'Africa non dispongono di quantità d'acqua potabile sufficienti. La mancanza di risorse idriche riguarda inoltre ampie zone dell'Australia, delle regioni occidentali del Nord America e circa un terzo del territorio europeo.
I paesi della sponda nord del bacino del Mediterraneo condividono una crisi ambientale generata da comuni caratteristiche climatiche e da una lunga storia di uso non sostenibile delle risorse ambientali; le variazioni climatiche e la carenza idrica stanno contribuendo a rendere vulnerabile il territorio ai processi di desertificazione. La siccità e la desertificazione sono un problema grave anche per l'Italia; il 27% del territorio, infatti, è esposto all'inaridimento per cause climatiche e la cattiva gestione dei suoli.

Misure preventive
Nonostante sia praticamente impossibile prevedere con precisione quando potrebbe verificarsi un periodo di prolungata siccità, nelle aree particolarmente esposte a questo rischio sarebbe, comunque, opportuno ricorrere a misure preventive. È necessario adottare misure durevoli di lotta alla desertificazione, che garantiscano una protezione integrata delle risorse suolo, acqua e aria e nello stesso tempo consentano e favoriscano uno sviluppo delle attività socio-economiche compatibili con la protezione dell'ambiente. In alcuni casi sarebbe sufficiente provvedere alla costruzione di bacini idrici di riserva, da utilizzarsi solo in casi di emergenza, e adottare una diversa politica di gestione del territorio che vieti lo sfruttamento eccessivo di pascoli e terreni agricoli e limiti la diffusione degli insediamenti umani nelle aree particolarmente soggette al fenomeno; risulta particolarmente utile la mappatura delle aree a rischio e la loro bonifica.
Per quanto concerne la situazione italiana, nel febbraio 2000 è stato pubblicato il “Programma nazionale per la lotta alla siccità e alla desertificazione”, che recepisce quanto indicato nella “Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta alla siccità e alla desertificazione nei paesi gravemente colpiti” (firmata a Parigi nel 1994), in vigore dal dicembre 1996. La normativa italiana precedente, in particolare la legge n. 426/1998, prevede che il Ministero dell'Ambiente svolga attività di formazione e ricerca anche con il coinvolgimento di due enti, l’Osservatorio nazionale sulla desertificazione del parco dell'Asinara e il Centro studi sui saperi tradizionali e locali di Matera. Una mappatura delle zone a rischio di siccità in Italia, effettuata dalle Regioni e dalle Autorità di bacino, individua numerose aree vulnerabili praticamente in tutte le regioni meridionali (Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna). In base al “Programma nazionale” citato, i dati raccolti a livello regionale vengono trasmessi al Comitato nazionale per la lotta alla siccità e alla desertificazione, contestualmente all’indicazione degli interventi che si intendono eseguire; questi devono riguardare, in particolare, la gestione sostenibile delle risorse idriche, lo sviluppo di progetti per il riutilizzo delle acque reflue nell’agricoltura, la gestione sostenibile delle risorse forestali, l’attuazione di sistemi di produzione zootecnica, agricola e forestale che prevengano il degrado del suolo, la regimazione delle acque con interventi a basso impatto sull’ambiente.

8. Inquinamento
Contaminazione dell'aria, dell'acqua e del suolo con sostanze e materiali dannosi per la salute dell'uomo e dell'ambiente e capaci di interferire con i naturali meccanismi di funzionamento degli ecosistemi o di compromettere la qualità della vita. Per maggiori informazioni riguardo agli inquinanti rilasciati nell'atmosfera dagli impianti industriali, dagli inceneritori, dai motori degli autoveicoli e da altre fonti. Per maggiori informazioni riguardo alla contaminazione dell'acqua, dei fiumi, dei laghi e dei mari derivante da liquami o rifiuti domestici, urbani, industriali o nucleari scaricati nell'ambiente.



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