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Premessa Per la materia Italiano vogliamo intendere la materia come una lingua.
Citiamo però una premessa, al contrario della Grammatica o della materia Lettere, come ramo dell'Italiano esiste l'Antologia.
L'Antologia è una raccolta di passi in prosa o in versi considerati esemplari di un genere, di un periodo storico ecc. e generalmente dovuti ad autori vari. Fra gli esempi più antichi di antologia (dal greco anthos, "fiore", e legein, "scegliere, raccogliere") sono la Ghirlanda, raccolta di epigrammi pubblicata dal poeta greco Meleagro di Gadara nel I secolo a.C. e ampliata in edizioni successive fino al XVIII secolo, quando fu data alle stampe dal francese Philippe Brunck col titolo di Anthologia graeca. Molto più ampia è l'Antologia palatina, che raccoglie 3700 epigrammi greci scritti fra il IV secolo a.C. e il X secolo d.C., e suddivisi per argomento in 15 libri. Nel 1573 il filologo umanista Joseph-Juste Scaligero pubblicò un'antologia della poesia latina. Abbondano di antologie la letteratura araba e quella del Medio ed Estremo Oriente.
1. Introduzione
La Lingua Italiana, romanza del gruppo orientale, è parlata da circa 75 milioni di persone nella maggior parte del territorio italiano. Oltre che in Italia, la lingua italiana è espressione ufficiale nel Canton Ticino in Svizzera e nella Repubblica di San Marino; grazie alle trasmissioni radiotelevisive che raggiungono i loro territori, è diffusa e conosciuta anche in Albania e a Malta, mentre viene ancora parlata come lingua di cultura, pur se in misura sempre più esigua, in Etiopia, in Eritrea e in Somalia, ex colonie italiane. Come seconda lingua, infine, è presente nelle Americhe, in Argentina soprattutto, in Australia e in Europa centrale (Germania, Svizzera), conseguenza degli ingenti flussi migratori verso l'estero di lavoratori italiani, verificatisi nel corso del Novecento.
La sua tradizione scritta è antica e illustre, tanto da porla nel novero delle dieci principali lingue di cultura del mondo, anche se ci furono periodi nel passato in cui venne considerata la maggiore lingua europea. Tuttavia la storia dell'italiano come lingua di comunicazione parlata risale soltanto all'inizio del XX secolo, tanto che fuori dalla Toscana la prima generazione di italofoni puri, cioè di chi ha imparato a parlare l'italiano come prima lingua da bambino e che nella vita di tutti i giorni parla solo italiano e non un dialetto, è probabilmente quella dei nati negli anni Cinquanta. asterpharmacy.com
2. Frammentazione dialettale e “Questione della Lingua”
Caratteristica della situazione italiana è infatti la presenza sul territorio di una quantità rilevante di dialetti, anche strutturalmente molto differenti dalla lingua nazionale, e di numerose varietà regionali, che rendono assai differenziato il panorama linguistico e problematica la trattazione dell'italiano come lingua unitaria. La grande frammentazione linguistica e dialettale dell'Italia risale certamente all'epoca romana, quando il latino parlato, già dotato di differenze anche grandi al suo interno, si mescolò con le lingue delle popolazioni soggette (secondo un fenomeno che in linguistica viene definito effetto di sostrato), dando luogo a "dialetti del latino" che, ulteriormente influenzati dalle lingue degli invasori germanici (effetto di superstrato), originarono gli odierni dialetti italiani.
La lingua standard moderna, usata nella vita pubblica, nei media e insegnata a scuola, è il risultato delle sistematizzazioni del Cinquecento e poi dell'Ottocento (vedi Questione della lingua). Ha come base il dialetto fiorentino, per via del suo prestigio letterario iniziale, connesso con le opere di Dante, Petrarca, Boccaccio, e della predominante posizione economica di Firenze durante il Medioevo. Nel panorama dei dialetti italiani, inoltre, il fiorentino si è sempre caratterizzato per una particolare conservatività, ossia vicinanza rispetto al latino d'origine. Tuttavia, prima della definitiva accettazione del fiorentino, molte altre varietà furono in concorrenza per acquistare un ruolo egemone: è il caso, in ambito poetico, del siciliano della scuola siciliana. Importanti invece, oltre che sul piano della produzione letteraria, anche su quello della comunicazione quotidiana e funzionale alla pratica economica e politica, furono, tra Duecento e Quattrocento, la koiné lombarda (intesa come l’insieme dei dialetti parlati nell’area padana, dalla Lombardia all’Emilia) e quella genovese. Le condizioni storico-politiche riservarono un ruolo fondamentale anche al veneziano, che accompagnò le vicende della Serenissima Repubblica, e al napoletano, lingua dell'amministrazione del Regno. Tutte queste lingue avrebbero potuto diventare l'italiano standard, anziché esserne considerate delle varianti dialettali, se gli eventi della storia italiana avessero avuto esiti differenti.
3. Caratteristiche fonetiche e fonologiche
L'italiano possiede sette vocali in posizione tonica, cioè in sillaba accentata: i, é (e chiusa, come in "sera"), è (e aperta, come in "testa"), a, ò (o aperta, come in "forte"), ó (o chiusa, come in "molto"), u; e cinque vocali in posizione atona (cioè in una sillaba su cui non cade l'accento) dove si perde la differenza fra i due gradi di apertura di e e o. Una tale distribuzione deriva dal sistema vocalico del latino, che però non conosceva la distinzione fra vocali aperte e chiuse, bensì quella fra brevi e lunghe; lo schema evolutivo fu il seguente:
ī > i; ĭ, ē > é; ĕ > è; ā, ă > a; ŏ > ò; ō, ŭ > ó, ū > u
Rispetto a questa evoluzione normale, che è tipica di molte lingue romanze, l'italiano presenta poi qualche esito particolare, come ad esempio il dittongamento di u e o latine, che in sillaba aperta passarono a ie, uo: così si ebbe pede (m) > "piede" (e non "pede", come ci si aspetterebbe), oppure bona (m) > "buona" (e non "bona").
L'italiano dispone poi di un sistema a 21 consonanti: le occlusive p, t, b, d, k (scritto c davanti ad a, u, o; ch davanti a i, e), g (”duro”, scritto g davanti ad a, u, o; gh davanti a i, e), le fricative f, v, s (sorda come in "sole"), s (sonora come in "rosa" ), sc (come in "scena"); le affricate z (sorda, come in "azione"), z (sonora, come in "zero"), c ("dolce", scritto c davanti a i, e; ci davanti a, u, o), g (”dolce”, scritto g davanti a i, e; gi davanti ad a, u, o); le nasali n, m, gn (come in "ragno"); le laterali l, gl (come in "raglio"), la vibrante r. Inoltre esistono le semivocali i (come in "ieri") e u (come in "uomo").
La corrispondenza fra alfabeto e struttura consonantica non è sempre perfetta (i 21 suoni differenti sono indicati tramite 16 lettere), anche se lontana dall'approssimazione di altre lingue come l'inglese o il francese. L'impianto consonantico rispecchia in gran parte quello latino, anche se evoluzioni particolari si sono avute per determinati gruppi consonantici (ad esempio, il latino non conosceva il suono c di "cesto", o gl di "aglio" o sc, o gn: tutte queste consonanti sono sorte in seguito a complesse evoluzioni fonetiche verificatesi nel periodo che va dal IV all'VIII secolo d.C.).
4. Caratteristiche Morfologiche
La morfologia dell'italiano si caratterizza per la presenza di due declinazioni: la prima segue il modello di "lup-o/lup-i" per il maschile e "cas-a/cas-e" per il femminile; la seconda si comporta ugualmente nel maschile e nel femminile, come in "dottor-e/dottor-i" (maschile) e "lepr-e/lepr-i" (femminile). Un piccolo gruppo di nomi maschili presenta la serie "-a/-i" ("poeta/poeti"). Alcuni nomi sono indeclinabili, in genere monosillabi o tronchi ("pietà", "re") e altri sono caratterizzati da un doppio plurale (in "-i" e in "-a") per indicare quantità plurali o collettive: ad esempio "labbro/labbri/labbra", "muro/muri/mura".
Anche gli aggettivi partecipano di queste declinazioni: ad esempio "alto/alti/alta/alte" segue la prima, ma "forte/forti", equivalente per maschile e femminile, segue la seconda. La declinazione pronominale distingue in alcune forme tra la funzione di soggetto e di complemento ("io/me/mi", "tu/te/ti", "egli/lui/lo"). Vedi Genere; Numero.
Per quanto riguarda il verbo, l'italiano dispone di quattro (talvolta considerate tre) coniugazioni, terminanti in "-are", "-ere" atono (come in "crédere"), "-ere" tonico (come in "vedére"), "-ire". Caratteristiche del verbo italiano sono la grande ricchezza di modi e tempi e la presenza di tempi semplici (come "vidi") e perifrastici, composti con il participio passato (come "ho visto").
Altro tratto peculiare dell'italiano, che per abbondanza e vitalità trova pochi confronti nelle lingue europee, è la notevole ricchezza di parole derivate tramite l'impiego dei suffissi, siano questi aggiunti a nomi ("libr-one"), ad aggettivi ("bell-occio"), ad avverbi ("poch-ino") o a verbi ("rid-acchiare").
5. Caratteristiche Sintattiche
L'ordine normale dei costituenti in italiano è quello soggetto-verbo-complemento ("Gianni apre la porta"); nel caso di verbi di moto, di stato o di cambiamento il soggetto normalmente segue il verbo ("entrarono degli studenti", "accadeva un fattaccio"). La sintassi dei pronomi è piuttosto complessa e risponde a regole di marcatezza dell'informazione: ad esempio, in una frase come "ti do un libro" l'informazione rilevante – il rema – è posta su "libro" ("non ti do un quaderno, ma un libro"), mentre in "do un libro a te" il rema è il destinatario ("non do il libro a Massimo, ma a te"). Vedi Sintassi.
6. Il Lessico dell'Italiano e le influenze esterne
Il patrimonio lessicale dell'italiano è per la grande maggioranza latino; tuttavia nell'etimologia di molte parole rimangono tracce delle lingue parlate dai popoli entrati in contatto con le popolazioni della penisola, durante le invasioni barbariche o nelle successive occupazioni straniere a cui fu a lungo soggetto il territorio italiano, oppure per effetto di diversi influssi culturali succedutisi nel tempo.
Piuttosto numerosi sono ad esempio i germanismi, ossia parole che l'italiano ha preso in prestito dalle lingue germaniche, soprattutto dal gotico, dal longobardo, dal franco, anche se attribuire i termini a una lingua o a un'altra di queste antiche lingue estinte non è sempre agevole; molti di questi termini, inoltre, erano già stati assimilati dal latino. Fra gli altri, sono probabilmente di origine gotica "guerra" (werra), “rubare" (raubôn), "fresco" (frisk), "bianco" (blank), "albergo" (haribergo), "tappo" (tappa); fra i longobardismi si annoverano "guancia" (wankja), "nocca" (knohha), "schiena" (skëna), "balcone" (balco), "federa" (federa), "russare" (hrûzzan), "scherzare" (skërzon), "spaccare" (spahhan); hanno probabilmente origine franca "bosco" (bosk), "guanto" (want), "dardo" (darohd), "guadagnare" (waidhanjan, che significava “portare al pascolo”, inteso come attività lucrativa).
La dominazione greco-bizantina dell'Italia centrale e meridionale ha lasciato parole come "molo" (môlos), "anguria" (angóurion), "basilico" (basilikón), "duca" (dôuka), "bottega" (apothékç), "lastrico" (tà (ó) straka), "zampogna" (da symphonia: l'italiano moderno "sinfonia" ha invece una derivazione dotta, come del resto molte altre parole di etimologia greca). Moltissime parole, popolari e colte, provengono dall'arabo: ad esempio "azzurro" (lazûward), "ragazzo" (raqqas, che significava “messaggero, corriere”), "tazza" (þass, “coppa, vaso”), "facchino" (faqîh), "arancia" (nârang’), "limone" (laimûn), "carciofo" (haršûf), "spinaci" (isfinâğ), "zucchero" (súkkar), "scirocco" (ðulûq, “vento di mezzogiorno”), "dogana" (duwân, “ufficio”), "tariffa" (ta’rîfa) "magazzino" (makâhzin), "caffè" (qahwa), e poi "algebra" (al-giabr, “ristabilimento”), "alchimia" (al-kîmiya), "almanacco" (al-manâkh), "cifra" (ºifr, “vuoto”).
La conquista di Carlo Magno (744) aprì la strada all'influsso sull'italiano dell'antico francese, che continuò per secoli, grazie anche al prestigio culturale delle lingue d'oc e d'oïl, e si estese anche ad altri settori della lingua, coinvolgendo la morfologia: sono di origine francese, ad esempio, i suffissi " -iere", come in "cavaliere" (chevalier), "giocoliere" (joculer), e provenzale o francese quelli in "-aggio", come in "coraggio" (coratge), "ostaggio" (hostage). Per il lessico si ricordino almeno "troppo" (trop), "cuscino" (coissin), "viaggio" (voyage), "preghiera" (dal provenzale preguiera), "mangiare" (manger), "svegliare" (dal provenzale esvelhar). Vedi Francesismo.
La dominazione spagnola a Milano e Napoli determinò la diffusione di alcuni spagnolismi, quali "complimento" (cumplimiento), "sfarzo" (disfrazar, “travestire, truccare”), "baia" (bahía), "flotta" (flota), "vigliacco" (bellaco, “malvagio”).
A partire dal Settecento si diffusero, soprattutto tramite la Francia, parole comuni al lessico intellettuale europeo, a loro volta derivate dal latino o dal greco. Fra queste erano "ragione", "sentimento", "dispotismo", "costituente", "concorrenza", "monopolio", "analisi", "fanatismo", "pregiudizio". Fino all'inizio del XX secolo, anche i prestiti dall'inglese furono mediati dal francese: nel nostro secolo l'invasione delle parole inglesi e americane nel lessico di tutte le lingue europee è un dato di fatto e in certi termini una necessità; va però notato che si tratta spesso di parole che l'inglese ha preso a sua volta dal latino o dal greco (e talora dall'antico italiano) e che ritornano dunque con significato diverso. Sono un esempio in questo senso le parole "media" (dal latino media, "mezzi") e "televisione" (dall'inglese television, a sua volta formata dal greco tele, "lontano" e dal latino visionem). Vedi Anglismo.
Molte parole dell'italiano moderno sono poi riprese per via dotta dal latino: fra i prestiti più antichi sono "scienza", "sapienza", "reale", "insetto", "pagina" ecc. Queste parole avrebbero avuto esiti fonetici diversi se avessero seguito il processo della tradizione popolare: talora esiste una coppia di termini, quello popolare e quello colto, che si distinguono per significato oltre che per forma, come ad esempio "vezzo/vizio", "cerchio/circolo", "soldo/solido", "biscia/bestia".
Esiste anche un tipo di prestito interno, dai dialetti all'italiano: interessa in genere termini tecnici o parole espressive o scherzose; per fare solo qualche esempio, dal lombardo si hanno "corazza", "filanda", "marcita", "barbone", "gorgonzola", "risotto"; dal romanesco "bocce", "fanatico", "cocciuto", "scippo"; dal napoletano "lava", "ammainare", "iella", "spocchia".
A sua volta l'italiano influenzò, soprattutto dal Quattrocento al Settecento, le lingue europee: quasi completamente italiano, ad esempio, è il lessico europeo della musica ("andante", "viola", "quartetto", "crescendo" ecc.) e delle arti ("affresco", "acquaforte", "prospettiva" ecc.).
7. Varietà dell'Italiano
La presenza sul territorio di dialetti diversi strutturalmente differenziati, tuttora usati per la comunicazione primaria da una vasta fascia della popolazione, ha fatto sì che siano molto pronunciate per l'italiano le varianti legate al luogo. Praticamente ogni regione italiana ha una sua propria variante linguistica, più evidente per la pronuncia e il lessico, ma che può avere caratteristiche morfologiche e sintattiche autonome. La comunicazione a livello nazionale non ne risulta compromessa, ma i parlanti sono spesso riconoscibili per la loro provenienza. Anche la radio e la televisione, un tempo baluardo della pronuncia standard, sono oggi propagatrici degli accenti regionali.
Secondo studi recenti, i fenomeni soggetti a variazione linguistica sono circa duecento. Tipica dell'italiano settentrionale è una diversa distribuzione delle e e o aperte e chiuse (”ciélo” e “stèlle” di contro allo standard "cièlo" e "stélle"), come la difficoltà ad articolare le consonanti doppie e la tendenza a pronunciare sempre sonora la s intervocalica; come tratto morfologico è tipica la scomparsa del passato remoto, sostituito dal passato prossimo. Il fiorentino si contraddistingue per il fenomeno della gorgia, ossia l'aspirazione della k occlusiva quando si trova tra due vocali, anche non della stessa parola (ahuto = "acuto"; la hasa = "la casa"); con le varietà centrali condivide poi la tendenza a pronunciare nz e lz i gruppi ns e ls (penzione, polzo per "pensione", "polso"). Le varietà meridionali sono caratterizzate fra l'altro da varie sonorizzazioni o rafforzamenti consonantici, dalla perdita di specificazione delle vocali atone, che convergono tutte verso una vocale centrale indistinta (simile a quella del francese je), dalla tendenza a pronunciare in iato i dittonghi (vùoi, bùono) e da alcune particolarità morfologiche e sintattiche, come la costante posposizione dell'aggettivo (l'amico mio, la sorella tua), l'uso generalizzato del passato remoto e il complemento oggetto con preposizione (chiamo a mio fratello).
Inoltre si vanno sempre più sviluppando varietà sociali di italiano, un tempo impossibili per la sua natura di lingua solo letteraria; particolarmente studiato è il cosiddetto italiano popolare, un'astrazione che presenta le caratteristiche linguistiche comuni alle fasce meno abbienti e meno istruite della popolazione (ad esempio espressioni di origine gergale, o strutture sintattiche semplificate, come l'uso dell'imperfetto indicativo in luogo dei modi condizionale e congiuntivo); alcune di queste caratteristiche stanno in effetti passando alla lingua ordinaria che dunque, per la prima volta nella sua storia, sembra essere in evoluzione.
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