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1. Introduzione
La Religione è l'insieme delle credenze e delle pratiche fondate sulla relazione dell'uomo con il divino.
Nella storia delle civiltà umane il fenomeno religioso è universale. Alla base dell'insieme di concezioni e comportamenti che vengono definiti religiosi sembra comunque esservi la credenza nella presenza di uno o più esseri superiori che l'uomo percepisce come appartenenti a un mondo trascendente rispetto a quello umano. Nei confronti di queste realtà superiori l'uomo si sente dipendente e nello stesso tempo aspira a una relazione.
Agli inizi del Novecento Rudolf Otto propose di definire l'intima essenza della religione attraverso la categoria del "sacro". Nell'esperienza del sacro si manifesterebbe un sentimento creaturale di dipendenza al quale si accompagna la percezione di un soggetto divino posto fuori dell'io. Otto chiama tutto ciò il "numinoso": mistero ineffabile, in cui il "totalmente altro" si manifesta con una forza e una maestà che suscitano timore, ma anche insopprimibile fascinazione e attrazione.
Lo storico delle religioni Mircea Eliade affermerà poi che mediante l'esperienza del sacro lo spirito umano coglie la differenza tra ciò che è dotato di significato e il flusso caotico delle cose. Il sacro si rivelerebbe così una vera e propria struttura della coscienza.
Nell'attuale dibattito sulla religione, dominato da differenti prospettive e orientamenti ideologici e metodologici, è quasi impossibile dare una definizione soddisfacente di "religione", come pure tentare una classificazione omogenea dei differenti tipi di religione. Una prima difficoltà che si presenta nel tratteggiare una panoramica storica è rappresentata dalla nozione comune secondo la quale le cosiddette "religioni primitive" costituirebbero una forma più spontanea e meno elaborata del sentimento e della pratica religiosa umana: ma è piuttosto incauto presumere che le culture non occidentali rappresentino necessariamente gli albori del tentativo umano di dar forma alla spiritualità.
Qui tratteremo dell'argomento limitandoci a delineare una comparazione fra tre forme fondamentali di relazione umana con l'universo del divino: quella delle religioni primitive, quella delle religioni comunemente intese e quella delle dottrine orientali definibili come "vie di liberazione".

2. Religioni primitive
Carattere principale delle religioni primitive, ormai scomparse nel mondo occidentale, è l'assenza di una netta separazione tra mondo spirituale e mondo naturale, tra coscienza e mondo circostante. Il filosofo francese Lucien Lévy-Bruhl denominò questa assenza di confine partecipation mystique, concependola come il sentimento di fusione tra l'organismo umano e il suo ambiente.
Calato in questo scenario, in cui il mondo intero risulta pervaso di forze "mentali" o "spirituali", l'individuo, secondo Rudolf Otto, è costantemente a contatto con il mistero del "numinoso". leadmedic.com

Atmosfera numinosa
Fondamentalmente connessa con la totalità della natura in ogni suo aspetto, l'atmosfera numinosa è, ad esempio, ben rappresentata nello scintoismo, la religione giapponese tradizionale che non ha elaborato una professione di fede né ha formalizzato dottrine religiose, esprimendo l'originario stupore, rispetto e timore per l'esistente. Questo approccio all'esperienza del sacro implica che il tutto venga personificato in uno spirito dalle caratteristiche umane e dotato di una vita autonoma, misteriosa e imprevedibile.
Ovviamente alcuni fenomeni naturali e luoghi di particolare stranezza o bellezza paiono più densi di atmosfera numinosa. Così anche le qualità o gli aspetti di questa atmosfera possono essere più o meno intensi. Gli antropologi utilizzano comunemente le parole polinesiane mana e tabù per indicare l'aspetto positivo e negativo del numinoso: quando si rivela come mana, il numinoso è potente ed efficace; come tabù, invece, è qualcosa di indefinibile e impossibile da avvicinare, in virtù del timore che ispira.

Rito
Il rito, che ricopre un ruolo fondamentale nelle culture primitive, è il tentativo di porsi in armonia con il ciclo naturale, celebrando eventi fondamentali come il quotidiano sorgere e tramontare del sole, il mutare delle stagioni, il variare delle fasi lunari, la semina annuale e il raccolto. Inoltre il rito è un atto sacro, una filiazione diretta delle grandi figurazioni mitologiche che in queste culture esercitano una funzione simile a quella delle dottrine religiose per l'Occidente. Il rito proprio delle religioni primitive si potrebbe considerare come una forma artistica volta a esprimere e a celebrare la partecipazione dell'umanità alle vicende dell'universo e degli dei.
Nelle culture in cui prevale questa percezione del mondo, le pratiche quotidiane sono così intrise di religiosità che risulta impossibile distinguervi il sacro dal profano.

Mito
Le culture primitive non hanno elaborato una dottrina religiosa o un sistema di nozioni volto a definire la natura del numinoso: lo "spirito" rimane una percezione piuttosto che un'idea e il suo linguaggio più appropriato non consiste di concetti, bensì di immagini. Così, in luogo della dottrina religiosa, si trova il mito, un complesso asistematico di narrazioni orali tramandate di generazione in generazione, che offrono una rappresentazione significativa dell'universo. Secondo le prime interpretazioni antropologiche del mito, come quella dell'antropologo britannico James George Frazer, gli dei e gli eroi mitologici personificano i corpi celesti, gli elementi o i cosiddetti "spiriti dei raccolti": i miti sono spiegazioni ingenue delle vicende naturali. Dal canto suo, lo psichiatra Carl Gustav Jung sostenne che i miti si fondano su sogni e fantasie che conferiscono espressione concreta a processi psicologici inconsci. Secondo Jung, esiste un inconscio collettivo che possiede una struttura quasi analoga presso tutti i popoli; questa uniformità spiega le sorprendenti analogie mitologiche presenti in culture che non sono mai entrate in relazione tra loro. Questi processi inconsci modellano la crescita mentale e spirituale; l'immaginario mitico e la sua rappresentazione nel rito formano una sorta di sapienza che guida la vita. Così, ad esempio, la danza tribale per il sorgere del sole fa percepire ai membri della comunità che essi stanno svolgendo un ruolo significativo nella vita dell'intero universo.
A sua volta, lo studioso singalese Ananda Coomaraswamy definì nei suoi studi sulle culture indiana e indonesiana i grandi temi mitici come parabole metastoriche, conoscenza intuitiva della natura e del destino umani, da sempre disponibile per quanti desiderano sinceramente sondarne la profondità.

3. Le Religioni
Le religioni sono nate presso culture in cui si è affermata una marcata differenziazione tra mente umana e ambiente naturale, tra coscienza soggettiva e fatto oggettivo, tra spirito e materia. Questa differenziazione è propria delle civiltà agricole stanziali in cui la divisione del lavoro presuppone che gli individui svolgano compiti differenziati entro la comunità. Presso le culture dei cacciatori ogni membro maschio della comunità conosce tutte le tecniche necessarie alla sopravvivenza, ma nelle comunità agricole, in cui si richiede una maggiore cooperazione tra individui dotati di abilità e funzioni diverse, si rendono necessarie forme di comunicazione simboliche più precise e dunque convenzionali, specialmente a proposito di linguaggio e ruoli.

Linguaggio, convenzione e ruoli
Un linguaggio diventa più flessibile con l'ampliarsi del suo vocabolario. Inoltre, la necessità di svolgere compiti distinti in una comunità richiede che gli individui si identifichino con un ruolo: molti nomi propri infatti designavano originariamente ruoli svolti nella società. È significativo che la parola latina persona anticamente indicasse le maschere che nella tragedia greco-romana avevano la funzione di distinguere i ruoli dei vari attori.
Per le religioni è importante l'appartenenza alla comunità; nell'ebraismo e nel cristianesimo, ad esempio, l'idea di salvezza è inseparabile da quella di appartenenza a una comunità, ovvero a un corpo di credenti: nel primo caso, il popolo di Israele; nel secondo, la Chiesa e la comunione dei santi.
La graduale presa di coscienza del fatto che l'ordine naturale rappresenta un modello dotato di senso è accompagnata dalla intenzione di scoprire l'architettura di questo modello, già interamente conosciuto da "qualcuno", e attribuito quindi a un'intelligenza diversa dalla propria: più si apprezza la complessità del modello, più ci si stupisce per l'intelligenza a essa sottesa. Come dice il salmista: "Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta, e io non la comprendo" (Salmi 139:6).

Teismo
La religione, in questo senso, è invariabilmente teistica e riguarda la fede in un Dio personale, vivente e spirituale, distinto dal mondo che egli ha creato. Esistono però varie forme di teismo: nell'Antico Testamento è presente sia l'enoteismo (la convinzione che la comunità deve essere fedele a un solo Dio) sia il monoteismo (la convinzione che questo Dio sia il solo Dio).
Altre forme di credenza religiosa sono il politeismo, la credenza in numerosi dei; il panteismo, che afferma l'identità tra Dio e l'intero universo (benché storicamente questa sia più un'idea filosofica che una credenza religiosa); il panenteismo, la credenza che ogni creatura sia una manifestazione di Dio.
La religione è pertanto una fede comune e la conformità a un modello identificato dal pensiero come il frutto di un'intelligenza che ne è la causa. La comunità si lega a questo modello come a una regola di vita compendiata in tre elementi: credo, codice e culto. Il credo è la fede nel modello rivelato dall'intelligenza divina che lo ha creato; il codice è il sistema di norme morali e sociali sancito dalla divinità. Il culto è il complesso di riti o atti simbolici con cui la comunità si pone in armonia con la divinità.

Salvezza
Nelle religioni la salvezza consiste nell'inserimento in una comunità sacra conforme alla volontà di Dio che consente di orientarsi entro le contraddizioni dell'esistenza. Nell'ultima fase della tradizione dell'ebraismo biblico e poi in quella cristiana, il concetto di salvezza cominciò a includere l'idea di sopravvivenza dopo la morte, concepita come stato di intima e definitiva unione con Dio.
Le tradizioni religiose che si ispirano alla Bibbia ritengono che l'uomo non possa soddisfare con le sue sole forze le condizioni di salvezza. L'ebraismo, il cristianesimo e l'Islam ritengono che le proprie dottrine si fondino su una rivelazione divina e includono la nozione di peccato, che rende la salvezza impossibile senza l'aiuto di Dio. Queste tre religioni insegnano che Dio è soprattutto misericordioso e desidera la salvezza di tutta l'umanità; a chi si pente Dio offre generosamente la sua grazia. Per il cristianesimo l'unico mediatore è Gesù di Nazareth, incarnazione di Dio che tanto ama il mondo da caricarsi delle sofferenze umane per trasformarlo dall'interno. Ebraismo, cristianesimo e Islam manifestano poi una dimensione universalistica nella loro tensione ad aprire la salvezza a tutta l'umanità.

4. Le vie di liberazione
In Asia esistono esperienze spirituali che in Occidente vengono definite "vie di liberazione", perché riguardano la liberazione della coscienza umana da idee e sentimenti prodotti dal condizionamento sociale e da false ed erronee concezioni della realtà. Esse cercano di andare al di là della consueta esperienza del mondo acquisita attraverso il pensiero e il linguaggio, giudicati entrambi strumenti di conoscenza inaffidabili e incapaci di cogliere la fondamentale unità del reale.
Le principali vie di liberazione sono quelle che si trovano nell'induismo(in particolare nel Vedanta e nello yoga), nel buddhismo e nel taoismo.

Induismo
Nella sua fase più antica, il periodo dei Veda, la religione induista era basata principalmente sul sacrificio e sull'azione. Fu solo la speculazione successiva, principalmente medievale, a sviluppare diversi darshana, o "punti di vista", ugualmente legittimi. I più notevoli sono costituiti dal Vedanta, basato sull'insegnamento delle Upanishad e dal sistema yoga. Sia il Vedanta sia lo yoga hanno come obiettivo la liberazione dal mondo, che è considerato illusorio.
I seguaci di queste vie di liberazione propugnano la rinuncia al proprio ruolo sociale (ed economico) e alla propria individualità soprattutto nel momento di prepararsi alla morte. La morte è infatti considerata una calamità se coglie chi crede ancora di essere un individuo separato dal Tutto, ed è perciò in preda alla lotta per affermare la propria individualità. In questo caso la morte non costituisce una liberazione dall'attaccamento alla vita e agli errori del mondo, ma è solo un passaggio nel ciclo del samsara, determinato dal karma, il divenire delle esistenze preda del dolore e dell'impermanenza, dal quale ci si deve affrancare.
Nel Vedanta l'idea che il mondo costituisca una molteplicità di elementi distinti è considerata maya, cioè un'"illusione" derivata dal modo abituale di pensare. L'espressione maya proviene dalla radice del verbo che significa "misurare": si pensa che il mondo sia misurato o marcato dalle divisioni e classificazioni delle esperienze umane.
Il Vedanta concepisce tutte le divisioni e le opposizioni (come quella di conoscente e conosciuto, di soggetto e oggetto) come due facce di una stessa moneta, ossìa come un rapporto di elementi inseparabili. Pertanto, il mondo può essere separato in elementi indipendenti solo nel pensiero dominato dall'illusione. In realtà il mondo è un'unità inseparabile o, più esattamente, non-dualità, perché anche l'unità esiste solo in relazione all'idea di diversità. L'essenza del mondo non è unità né molteplicità, ma è piuttosto non misurabile, indescrivibile e indefinibile.
Secondo il Vedanta è quindi possibile superare la separatezza della propria coscienza più profonda, l'atman, dal brahman, la totalità indefinita: l'individuo è indotto a considerarsi come separato perché il pensiero ha carattere necessariamente divisivo. La coincidenza di atman e brahman, considerata ineffabile in quanto realtà fondamentale del mondo, può tuttavia essere sperimentata attraverso lo yoga, che consiste nell'unificazione della coscienza, cioè nella rinuncia al pensiero divisivo e nell'abbandono di tutte le idee e di tutti gli interrogativi sulla vita.
Tale esperienza non è semplice assenza di immagini, ma assoluta relativizzazione di ogni realtà dell'esistenza: il seguace del Vedanta cui si chiedesse il significato della realtà ultima, rimarrebbe in silenzio oppure direbbe: "Ciò che non è".

Buddhismo
Il buddhismo nacque come movimento di riforma dell'induismo. Sotto diversi aspetti, i suoi obiettivi sono i medesimi del Vedanta e dello yoga, ma il Buddha evitò di nominare la realtà ultima, sia nell'aspetto universale di brahman sia nella modalità umana che è l'io più profondo o atman, poiché riteneva che tali termini venissero troppo facilmente trasformati in idee e forme di pensiero riduttive rispetto all'esperienza diretta. Egli insegnò che si soffre dell'avidya ("non conoscenza") della totale relatività del mondo delle cose e degli eventi. Anche il pensiero è una forma di avidya perché non considera la vita nella sua integrità, ma coglie solamente singoli brandelli di esperienza avulsi dall'insieme. Rinunciare a comprendere conduce invece al nirvana, che il Buddha non volle definire se non in termini negativi.
Il suo insegnamento portò a un'incomprensione a cui è esposto anche il Vedanta, cioè il fatto che la liberazione possa essere cercata come una fuga dalla sofferenza o uno stato permanente di beatitudine. Gli esponenti del buddhismo, in particolare gli appartenenti alla scuola Mahayana, ritennero che cercare il nirvana come fuga fosse ancora una forma di attaccamento alla conoscenza; il loro ideale di sapiente andò invece oltre la concezione indù di abbandono del mondo in preparazione alla morte e comprese la possibilità di scelta fra dissoluzione nell'Assoluto e ritorno nella piena attività sociale una volta ottenuta la liberazione. In tal modo, non più dominati dal timore ma ancora nel mondo, ci si poteva dedicare ad atti di misericordia verso quanti erano ancora legati alla maya e incatenati al karma. L'insegnamento buddhista, però, non sollecita la compassione come un comandamento, ma come un'azione volontaria della persona affrancata dal desiderio, che non ha speranza di ricompensa o timore di punizione. Nel buddhismo non v'è traccia di considerazione della condotta morale come conformità a un modello superiore o divino, perché i parametri morali sono ritenuti convenzioni umane necessarie per l'esistenza sociale, ma privi di autorità assoluta. Benché il Buddha non abbia dato nome a ciò che considerava la realtà ultima, i successivi maestri buddhisti indicarono il vero stato del mondo col termine sunyata, "vuoto", intendendo con ciò "l'assenza di ogni caratteristica definibile".

Taoismo
Il taoismo è la via di liberazione specificamente cinese. Sotto certi aspetti simile al buddhismo, si allontana però ancora più di questo dalla concezione occidentale di religione, poiché dichiara il proprio scetticismo filosofico nei confronti dell'utilità di distinzioni intellettuali e linguistiche. Come il buddhismo Mahayana, il taoismo consente il ritorno nel secolo del discepolo divenuto saggio; il suo testo principale, il Tao-te ching (Il libro della Via e della Virtù), attribuito a Lao Zi, fu composto come manuale di consigli per governanti.
Il taoismo vero e proprio, come si trova negli insegnamenti di Lao Zi e Zhuang Zi, non è mai stato organizzato sistematicamente. Esso concepisce l'universo naturale come frutto del Tao ("via"), che sfugge a ogni comprensione verbale e intellettuale. L'esperienza del Tao si ottiene praticando il wu-wei ("non-agire"), cioè astenendosi dal tentativo di modificare in qualsiasi modo la realtà. Nel Tao si sottolinea vigorosamente l'unione dell'individuo con la natura suggerendo che l'ambiente non si controlla con la lotta, ma cooperando con esso come un marinaio utilizza i venti per padroneggiarli. Analogamente, viene insegnato l'autocontrollo che proviene dalla fiducia in sé, nelle proprie sensazioni e nei propri istinti incanalati nella direzione voluta.

5. Studio comparato delle religioni
Gran parte dell'opera iniziale di comparazione tra le varie religioni fu compiuta da missionari che cercavano punti di raccordo tra le fedi locali e il cristianesimo, spesso nel tentativo di dimostrare la superiorità di quest'ultimo. Altre ricerche furono invece condotte da filologi interessati più alle caratteristiche linguistiche che al contenuto dei testi sacri delle altre culture. Nel XVII secolo tra le opere più significative si ricordano quelle dei missionari gesuiti italiani Matteo Ricci in Cina, Roberto De Nobili (1577-1656) in India e dello spagnolo san Francesco Saverio (1506-1552). In seguito, lo studio comparato delle religioni ricevette un forte impulso grazie alle ricerche di Johann Gottfried Herder; del filosofo scozzese Edward Caird, autore dell'opera L'evoluzione della religione (1894); del teologo olandese Cornelius Petrus Tiele, autore di Elementi della scienza della religione (1897-1899); del filosofo americano William James, il cui saggio La varietà dell'esperienza religiosa (1902) rappresentò il primo studio approfondito di psicologia della religione.
Nei secoli XIX e XX si creò nel mondo occidentale un atteggiamento di maggiore apertura nei confronti delle altre fedi. Contributi di rilievo agli studi sul pensiero cinese furono quelli del francese Noël Julien (chiamato Stanislas Julien) e del missionario gesuita Leon Wieger; all'approfondimento delle conoscenze sul buddhismo contribuirono le ricerche dell'indologo olandese Jan Hendrik Kern e dell'orientalista britannico Thomas William Rhys Davids; sul Vedanta sono da ricordare gli studi dell'indologo e filosofo tedesco Paul Deussen; su taoismo e confucianesimo quelli del missionario e sinologo britannico James Legge; sull'India quelli dell'indologo britannico Monier Monier-Williams.
Agli studi concernenti le vie di liberazione diedero un notevole contributo grandi studiosi asiatici come gli indiani Surendra Nath Dasgupta e Sarvepalli Radhakrishnan, i giapponesi Daisetzu Teitaro Suzuki e Junjiro Takakusu, il cinese Fung Yu-lan e il singalese Ananda Coomaraswamy.



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