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:: Oggi è Domenica 3 Aprile 2005 ::

- Materie : : : Grammatica

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1. Introduzione
La Grammatica è una branca della linguistica che si occupa della struttura e della forma delle parole così come della loro combinazione per formare frasi (vedi Sintassi). Finalità della grammatica è lo studio del funzionamento del linguaggio.

2. Tipi di Grammatica
Normalmente il primo contatto con la grammatica avviene a scuola, nello studio della lingua madre o di una lingua straniera. Questo tipo di grammatica è detta normativa, perché definisce il ruolo delle varie parti del discorso, e indica appunto le norme da applicare per usare correttamente la lingua studiata. L'uso corretto di una lingua, ossia il rispetto delle regole della grammatica normativa, è utile a chi parla per essere meglio valutato nella società in cui vive, o per essere capito se parla lingue diverse dalla propria.
Gli approcci propriamente linguistici alla grammatica sono di tipo diverso. Alcuni studiosi si interessano particolarmente di come cambiano nelle lingue le parole e le frasi nel corso del tempo, ad esempio nel passaggio dal latino all'italiano o dall'anglosassone all'inglese: si parla in questo caso di grammatica storica. La grammatica comparata ricerca invece le corrispondenze dei suoni (vedi Fonetica), delle forme e dei significati in lingue diverse, per determinare le relazioni fra queste, e per ricercare leggi e procedimenti universali nel linguaggio.
Il funzionamento di una lingua viene indagato dalla grammatica descrittiva, che appunto si occupa di ricercare e descrivere nel modo più accurato possibile le relazioni fra i "mattoni di costruzione" della lingua, cioè i morfemi, che costituiscono le parole, e le loro combinazioni, che formano le frasi. Fa parte di questo settore anche la descrizione di lingue o dialetti mai studiati in precedenza, o che non possiedono una forma scritta e dunque vanno registrati direttamente dalla bocca di chi li parla. In generale i tipi di grammatica qui ricordati si occupano della parte "relazionale" del linguaggio, cioè di come questo si costruisce, di come si formano le parole e le frasi, e di come i messaggi e le idee si trasmettono fra le persone. jandrugs.com

3. Storia degli studi grammaticali
Lo studio della grammatica in Occidente cominciò con gli antichi greci, che partendo da indagini filosofiche sul linguaggio individuarono le parti del discorso ancora oggi usate e diedero descrizioni della morfologia dei verbi e dei nomi. I romani adattarono poi questa tradizione grammaticale alla propria lingua, traducendo i termini greci nelle categorie che sono ancora oggi familiari (verbo, nome, accusativo, imperfetto ecc.). Sembra che i primi studi grammaticali siano stati intrapresi da civiltà in possesso di lunga tradizione letteraria, quando non riuscirono più a comprendere esattamente le opere composte nella fase arcaica della propria lingua. La prima grammatica scientifica è quella del sanscrito, composta dal grammatico indiano Pànini intorno al V secolo a.C. Si tratta di un'analisi molto sofisticata, che presenta numerosi punti di contatto con le più recenti teorie linguistiche moderne. Anche gli arabi elaborarono una propria tradizione grammaticale, nel corso del Medioevo; inoltre nel X secolo apparvero un lessico ebraico e uno studio grammaticale della Bibbia.
Per tutto il Medioevo la base di questa disciplina fu l'Arte della grammatica del greco Dionisio Trace, conosciuta nella sua versione latina: tuttavia non ci si servì dei suoi insegnamenti per stilare grammatiche delle nuove lingue romanze, germaniche o slave che stavano emergendo. Solo il latino, il greco e l'ebraico sembravano degne di riflessione linguistica. Per tutto questo periodo comunque, e successivamente nel Rinascimento e nell'età moderna, si moltiplicarono i tentativi di adattare tutte le lingue alla struttura del greco e del latino. Si cercò parimenti di stabilire quale fosse la lingua più antica e sulla base della Bibbia il primato fu assegnato all'ebraico.
Fu solo con lo sviluppo della riflessione logica dell'Illuminismo (favorita dall'apparizione della Grammatica universale di Port Royal), e poi con la fissazione della glottologia scientifica alla fine del Settecento e nella prima metà del XIX secolo, che le discipline della morfologia e della sintassi acquisirono l'armamentario tecnico e teorico che ancora oggi le contraddistingue. A partire da questo periodo comparvero le prime grammatiche descrittive e comparative delle lingue più diverse, a cominciare da quelle indoeuropee. In un primo tempo la descrizione venne tuttavia condotta secondo il modello delle lingue classiche, usando la distinzione in categorie e parti del discorso che era più congeniale a queste, ma che non necessariamente si adattava alla lingua descritta. (Ad esempio, per il georgiano non esiste un "soggetto" individuabile come per le lingue europee: le antiche descrizioni tuttavia, ancorate a questa nozione, finivano per complicare molto lo schema descrittivo pur di mantenere questa categoria.) Fu con la linguistica antropologica americana, e in particolare con i lavori di Franz Boas all'inizio di questo secolo, che si iniziò a descrivere le lingue secondo le categorie loro proprie: ciò comporta un maggiore lavoro iniziale, perché bisogna prima capire che cosa è rilevante in una data lingua e che cosa non lo è, ma offre i vantaggi di una maggiore accuratezza e linearità descrittiva.
Intorno agli anni Venti si sviluppò in Europa, a Praga, e poi in America lo strutturalismo, i cui principi si rivelarono utili per la descrizione grammaticale e per la comprensione dei meccanismi interni delle lingue. I linguisti svilupparono allora metodi rigorosi per descrivere le unità strutturali del linguaggio. Seguendo le indicazioni dello svizzero Ferdinand de Saussure, si distinse fra un "livello profondo", cioè il sistema linguistico che costituisce la norma grammaticale riconosciuta dai parlanti e che Saussure chiamò langue, e un "livello superficiale", detto parole, costituito dalle effettive produzioni linguistiche, ossia dalla infinita varietà di frasi diverse che produciamo nella lingua di tutti i giorni.
Una riflessione ulteriore sulla distinzione in piani diversi dell'attività linguistica fu iniziata negli anni Cinquanta da Noam Chomsky, il teorico della grammatica generativa, il quale concepì la grammatica come teoria della struttura del linguaggio più che come descrizione delle frasi e dei procedimenti di una lingua. Nella sua visione esiste una grammatica universale comune a tutti gli uomini e soggiacente a qualsiasi lingua: mediante trasformazioni appropriate, questi meccanismi universali si strutturano poi in modo differente per rendere le varie lingue oggi esistenti.

Grammatica generativa
Scuola di analisi linguistica avviata dal ricercatore statunitense Noam Chomsky verso la metà degli anni Cinquanta. Il presupposto fondamentale della grammatica generativa è che l'analisi linguistica deve oltrepassare la descrizione delle strutture del linguaggio, per spiegare come le frasi di ogni lingua vengono formate – ovvero generate – da chi parla, a partire dai materiali linguistici a disposizione, e successivamente interpretate in maniera corretta da chi ascolta.
Chomsky pose una distinzione basilare, che ricorda quella di Ferdinand de Saussure fra langue e parole, fra i livelli di "competenza" (cioè la conoscenza che l'uomo ha delle strutture della lingua) ed "esecuzione" (l'uso effettivo che viene fatto del linguaggio): la linguistica dovrebbe occuparsi della competenza in quanto è il livello basilare, unificante, al di là delle diverse realizzazioni concrete.
Uno dei problemi teorici posti dalla grammatica generativa consiste nella spiegazione di come la competenza linguistica dei parlanti possa generare infinite frasi diverse, tutte corrette, partendo dai relativamente pochi esempi di linguaggio con i quali da bambini si viene in contatto quando si impara a parlare. La spiegazione deve partire dal riconoscimento nella lingua di un livello superficiale e di uno profondo: ad esempio, le frasi "Ugo va al cinema" e "Ugo è stato promosso", anche se tra loro diverse in superficie (la prima frase è attiva e la seconda passiva), in realtà hanno la stessa struttura profonda, giacché indicano che cosa succede a Ugo. La struttura profonda sarebbe identica in tutte le lingue del mondo, e innata (come capacità di comprendere il linguaggio) nella specie umana; mediante appropriate regole di trasformazione, diverse da lingua a lingua, si passa poi da un livello all'altro. Per generare infinite frasi corrette, il parlante deve applicare alla struttura profonda innata quelle regole di trasformazione che impara da bambino.

4. La Morfologia
La Morfologia è il nome dato a quella parte della grammatica che studia le forme delle parole. La morfologia analizza le trasformazioni che può subire una parte del discorso, sia che si tratti di un verbo che si coniuga ("abitare", "io abito", "io abiterò", "io abitavo", "io abitai", "io abiterei") sia di un nome che prende dei marchi di genere e di numero ("amico", "amica", "amici", "amiche"). Anche lo studio della derivazione, vale a dire il modo in cui si può creare una parola partendo da un'altra parola ("abitare" > "abitabile"; "possibile" > "impossibile") è di pertinenza della morfologia.

I Morfemi
La morfologia scompone le parole in unità significative, chiamate morfemi. Se alcune parole come "perché" o "con" non possono essere scomposte, in una forma come "casa" è evidente che si devono isolare due unità: un'unità lessicale, o morfema lessicale, cas-, e una unità grammaticale, o morfema grammaticale, -a, che è un marchio morfologico di femminile singolare. Il morfema è quindi un'unità, e può essere sia una parola sia una parte di una parola.
Per evidenziare i morfemi contenuti in una parola, si procede per segmentazione: in "cantante" si isolerà un morfema cant- e un morfema -ant(e). I morfemi possono essere delle unità libere, come "mel(a)", o delle unità dette legate o congiunte perché non esistono autonomamente nel lessico di una lingua, come -abile, -issimo, -ore, -ere, -iere, -mente.
Esiste una ripartizione tra morfemi grammaticali e morfemi lessicali: i primi indicano una funzione logica e grammaticale, i secondi veicolano un significato. In particolare si classifica tra i morfemi grammaticali tutta la serie delle desinenze verbali, così come i morfemi che contrassegnano il plurale e quelli che contrassegnano il femminile ecc. Quanto ai morfemi lessicali, sono di un numero indefinito e questo numero può anche essere aumentato, mentre la lista dei morfemi grammaticali dell'italiano contemporaneo è una lista finita.

Il significato dei morfemi
D'altra parte, dei morfemi identici possono avere significati diversi. Nella serie "timore", "dottore", "corridore", la forma -ore corrisponde a tre morfemi omonimi, di cui uno indica uno stato d'animo, l'altro un nome di professione e l'ultimo significa "che compie l'azione di". La forma "-e" può assumere il valore di femminile plurale (cas-e) o di terza persona singolare dei verbi (corr-e, ved-e).

La formazione delle parole
I morfemi grammaticali isolabili nelle parole sono sia dei suffissi sia dei prefissi. Alcuni suffissi, come le desinenze verbali ("cant-ai", "cant-asti", "cant-ò", "cant-ammo", "cant-aste", "cant-arono") o i marchi di genere e di numero ("bello", "bella", "belli"), non portano alla creazione di parole nuove, cioè non indicano significati diversi, ma solo forme diverse dello stesso significato base. I prefissi e i suffissi detti derivazionali, invece, consentono di creare parole nuove ("fare" > "disfare"; "partire" > "ripartire"; "grande" > "grandezza"; "mela" > "melo"; "bello" > "bellezza"). Una parola nuova può essere creata aggiungendo sia un prefisso che un suffisso ("semina" > "dis-semina-re"; "fatto" > "mal-fatto-re").
Le parole possono inoltre formarsi per trasposizione senza modifiche da una categoria sintattica a un'altra: ad esempio, "piacere" (verbo) > "il piacere" (sostantivo); "bello" (aggettivo) > "il bello" (sostantivo). Questo modo di formazione è chiamato derivazione impropria.
Si creano unità lessicali anche per composizione ("cavolfiore", "asciugacapelli", "melarancia", "attaccapanni"), o con una preposizione ("macchina da cucire", "tavolo da pranzo", "rosa del deserto", "ferro da stiro"). Queste ultime si chiamano unità lessicali superiori, e costituiscono parole vere e proprie, anche se spezzate in più parti. Ne è prova il fatto che l'aggettivo non può mai essere frapposto ai due termini componenti (si può dire "un bel ferro da stiro", ma non "un ferro bello da stiro").

5. La Sintassi
Parte della grammatica che tratta dell'organizzazione delle parole in unità superiori e dei loro rapporti reciproci

Il Sintagma e la Frase
Le unità sintattiche fondamentali sono il sintagma e la frase. Una frase si compone normalmente di almeno due elementi basici: il sintagma nominale e sintagma verbale. Ad esempio, nella frase "la zia Alba mangia l'albicocca, "la zia Alba" costituisce il sintagma nominale e "mangia l'albicocca" il sintagma verbale (caratterizzato dalla presenza di un verbo). Una prima identificazione pone la funzione di soggetto al sintagma nominale principale; il rimanente costituisce il sintagma verbale, che a sua volta può comprendere parti nominali (come in "mangia l'albicocca").
Naturalmente frasi più complesse avranno rappresentazioni ad albero più complesse (anche questa è una semplificazione: si può sempre distinguere all'interno dei SN "la", "zia" e "Alba"), ma sempre rispettando questo modulo di base. Ad esempio, una frase come "la zia Alba, che mi hai presentato..." è sempre analizzabile come SN + un modificatore, che in questo caso è la frase relativa (a sua volta questa si può scindere in termini di SN + SV).
È possibile, secondo l'esempio di Noam Chomsky, interpretare la struttura sintattica di una frase come una serie di regole, dette "di riscrittura": in questo modo, una frase può essere scissa in sintagma nominale e sintagma verbale; a sua volta il sintagma verbale può essere scisso in verbo e sintagma nominale.
Pur con molte distinzioni più sottili che pure sono possibili, bastano solo queste due regole per costruire infinite frasi corrette ("il treno porta i passeggeri", "Davide legge il giornale", "nevica!" ecc.).

La struttura profonda delle funzioni sintattiche
Non c'è corrispondenza stretta fra la natura di un componente, come si ricava dalla teoria delle parti del discorso, e la sua funzione sintattica: un nome può indifferentemente assumere la funzione di soggetto, di complemento oggetto, di attributo o di un altro complemento; a sua volta la funzione, ad esempio, di soggetto, può essere ricoperta da nomi, pronomi, aggettivi, persino avverbi. Il livello sintattico del linguaggio infatti è quello in cui è più evidente la differenza fra una struttura superficiale della lingua e una struttura profonda, individuata dalla grammatica generativa: le parti del discorso sono la rappresentazione superficiale della struttura profonda, costituita dalle funzioni sintattiche.
Di conseguenza è tipica della sintassi di molte lingue una certa libertà nell'ordine dei costituenti: per questo è equivalente dire "parto domani" o "domani parto", con una libertà che non è permessa ad altri livelli di analisi. Per la morfologia, ad esempio, è obbligatorio formare i derivati sul modello di "considera-zione", e non è possibile una forma come "zione-considera". Tuttavia ogni lingua tende a preferire un ordine fra i molti: quello normale italiano è soggetto-verbo-complemento ("la zia Alba mangia l'albicocca"), quello del latino è soggetto-complemento-verbo ("anus Alba pomum armeniacum manducat"); altre soluzioni sono possibili, ma in questo caso manifestano un particolare intento comunicativo "l'albicocca, mangia la zia Alba (e non la mela)". Su basi tipologiche di questo tipo si costruiscono raffinate classificazioni delle lingue.

Sintassi e Semantica
La sintassi ha inoltre rapporti stretti, anche se controversi, con la semantica: è evidente infatti che esistono relazioni fra il lessico e le regole di composizione delle parole: ad esempio, una frase come "il tavolo mangia l'albicocca", pur essendo assolutamente corretta dal punto di vista sintattico non ha però un significato ammissibile in italiano: si deve supporre che le regole sintattiche agiscano solo dopo altre regole, più profonde, che assegnano la compatibilità o meno dei significati delle parole.



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