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- Appunti : : : Tiziano

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La formazione e i dipinti ermetici
La data di nascita di Tiziano è a tutt’oggi ignota. Si sa che l’artista nasce a Pieve di Cadore, un borgo montano nel cuore delle attuali Dolomiti bellunesi, dall’agiata famiglia dei Vecelli o Guecelli, notai e magistrati da molte generazioni. La storiografia moderna, avvalendosi di argomentazioni contrastanti, oscilla soprattutto tra due riferimenti cronologici: il 1480-1485 e il 1488-1490. Va da sé, che l’adesione all’uno o all’altro torno di tempo, determina il problema fondamentale della prima produzione dell’artista cadorino.
Secondo le fonti più antiche Tiziano si trasferisce a Venezia a circa nove anni, assieme al fratello maggiore Francesco. Qui svolge il suo primo apprendistato presso la bottega del pittore e mosaicista Sebastiano Zuccato, passando in seguito in quella di Gentile e Giovanni Bellini, e scegliendo infine Giorgione quale maestro. L’ambiente veneziano si presenta multiforme e stimolante per il giovanissimo pittore; oltre agli artisti italiani, infatti, in quel periodo operano in città anche pittori fiamminghi e tedeschi, e in particolare Dürer che nel 1506 realizza la pala con la Madonna del Rosario per la chiesa di San Bartolomeo a Rialto (oggi a Monaco, Alte Pinakotek).
Qualcuno, ponendo la data di nascita del cadorino intorno al 1480-1485, pensa che la piccola pala con Jacopo Pesaro presentato a san Pietro da papa Alessandro VII (Anversa, Musée Royal des Beaux-Arts) possa essere la prima commissione di un certo rilievo assolta dal giovane artista proprio a ridosso della vittoria di Venezia contro i turchi a Santa Maura (1502). Nella pala, infatti, si notano influenze belliniane e durezze nordiche, ancora estranee al linguaggio tonale giorgionesco.
Verso il 1508-1509, l’ancor giovane Tiziano interviene presumibilmente nella decorazione ad affresco del Fondaco dei Tedeschi; l’edificio, bruciato in un incendio nel 1505 e in seguito ricostruito, è già parzialmente dipinto da Giorgione sulla facciata verso il Canal Grande. Pur non essendo nominato nei documenti, a Tiziano si attribuiscono gli affreschi sulla facciata del palazzo verso la calle, facenti parte di un complesso programma iconografico deterioratosi, purtroppo, in breve tempo. Della decorazione superstite del Fondaco dei Tedeschi - il Compagno della calza, alcune Allegorie femminili e un fregio a chiaroscuro con un Combattimento di giganti e mostri - si conservano oggi pochi lacerti (Venezia, Palazzo Ducale e Gallerie dell’Accademia). Fortunatamente alcuni affreschi sono ricostruibili grazie a incisioni settecentesche (Anton Maria Zanetti, 1760; Venezia, Museo Correr): la cosiddetta Giuditta, ad esempio, raffigura una donna volumetricamente ben scorciata, seduta di fronte a un soldato tedesco, con una testa mozzata ai piedi e una spada nella mano destra. Tra le tante interpretazioni allegoriche - la Germania, la Giustizia divina e terrena, ecc. - essa potrebbe rappresentare Venezia che resiste agli assalti dei tedeschi di Massimiliano, vista la concomitanza di date con la coeva guerra di Cambrai. La presunta collaborazione con Giorgione al Fondaco pone anche l’annoso problema di quale rapporto intercorra tra il giovane Tiziano e il maestro di Castelfranco. Entrambi, infatti, sembrano frequentare nel contempo un’élite culturale grandemente imbevuta di ideali umanistici e neoplatonici: letteratura, filosofia e musica rappresentano il comune sostrato allegorico - variamente interpretato dalla critica - di alcune tra le più famose opere dipinte per sconosciuti committenti privati nel corso del primo decennio del Cinquecento.
Poiché tali dipinti sono realizzati con la rivoluzionaria tecnica tonale giorgionesca, "senza far disegno", riguardo ad alcune come il Concerto Pitti o Le tre età dell’uomo (entrambe Firenze, Pitti) - la critica è ancora divisa sull’attribuzione a Giorgione (che muore nel 1510) o al giovane Tiziano. Vengono invece ormai quasi unanimemente assegnati al cadorino sia il Concerto campestre del Louvre (1511 circa) sia la cosiddetta Allegoria delle tre età della vita (1512 circa; Edimburgo, National Gallery of Scotland): il primo rispecchia fedelmente l’impostazione spaziale e il lirico naturalismo di Giorgione, interpretabile anche come metafora del turbamento dell’equilibrio tra musica strumentale e celeste, mondana e cosmica, colta e incolta (secondo le teorie di Mario Equicola e di Leone Ebreo); il secondo, al di là dell’apparente idillio pastorale realizzato con maggior plasticismo e con colori vividi e brillanti, può celare un duro monito a chi non persegua la sublimazione d’amore durante l’esistenza (secondo le teorie di Pietro Bembo). A complicare maggiormente le cose vi sono poi dipinti non finiti di Giorgione, nei quali Tiziano interviene successivamente in alcuni punti: la Venere dormiente di Dresda (1509) ne è un esempio.
Al periodo a cavallo tra primo e secondo decennio del Cinquecento risalgono presumibilmente anche i primi splendidi ritratti: in essi le figure abbandonano la malcelata pulviscolare dolcezza giorgionesca, per accamparsi nello spazio con forza plastica e vivido cromatismo. Esemplari del classicismo cromatico , in questo senso, il poderoso Ritratto d’uomo (l’Ariosto) ed il Ritratto di donna (la Schiavona) (entrambi a Londra, National Gallery).

Tiziano tra Padova e Venezia
Tra l’aprile e il dicembre del 1511, Tiziano porta a termine tre affreschi commissionatigli già alla fine del 1510 dalla Scuola del Santo di Padova. E’ la prima opera documentata dell’artista, raffigurante i tre Miracoli di sant’Antonio da Padova (Il miracolo del neonato, Il miracolo del piede risanato e Il miracolo della donna ferita), nella quale il pittore dimostra una grande capacità narrativa e impaginativa dell’evento. Nel Miracolo del neonato la disposizione paratattica delle figure si ispira probabilmente sia a Giotto (affreschi della Cappella degli Scrovegni), sia a Mantegna (i Trionfi e gli affreschi agli Eremitani).
Inoltre, la presenza della statua dell’imperatore romano, quale garante di giustizia nella scena, sottolinea la vivace attenzione del giovane pittore per l’antico che rimane costante nel corso di tutta la sua lunga esistenza.
Nel 1513, benché invitato dall’amico Bembo a recarsi a Roma alla corte papale, Tiziano preferisce offrire i propri servigi alla Serenissima in cambio di alcuni privilegi; egli, infatti, propone di sostituire un affresco trecentesco - ormai logoro e in posizione infelice - nella sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale con una scena di battaglia. Ottenuto l’assenso, il pittore apre bottega a Venezia, a San Samuele: la tela, dipinta a olio, viene però terminata solo nel 1538 e poi distrutta nell’incendio del palazzo del 1577. Secondo le fonti, Tiziano dipinge la Battaglia di Cadore, vinta da Venezia sugli imperiali nel 1508, della quale esistono comunque copie e riproduzioni coeve e posteriori.
Attendendo nel frattempo a numerosi dipinti d’ambito privato quali la Flora (Firenze, Uffizi) e la Salomè (Roma, Galleria Doria) - Tiziano raggiunge l’apice del classicismo cromatico giovanile nel cosiddetto Amor sacro e Amor profano (15141515; Roma, Galleria Borghese). Il celebre dipinto - il cui titolo risulta successivo al 1693 viene eseguito in occasione del matrimonio tra il patrizio veneto Niccolò Aurelio, segretario del Consiglio dei Dieci, e Laura Bagarotto; quest’ultima è figlia di un famoso giurista padovano, ingiustamente condannato a morte proprio dal Consiglio dei Dieci nel 1509 con l’accusa di tradimento. Della tela sono state date innumerevoli interpretazioni in chiave neoplatonica, mitologica, etica e filosofica. Dal recente restauro è emerso un colore brillante e rorido di luce che permea l’impostazione classica della scena ricca di rimandi allegorici. Trattandosi di un quadro nuziale, il bassorilievo del sarcofago-fontana al quale si appoggiano le due donne - una vestita e l’altra nuda, probabilmente le due veneri Pandemia e Urania - è interpretabile quale monito a non cadere nel terzo grado d’amore, quello ferinus, violento e privo di briglie, perseverando viceversa in quello di più alto livello fisico e intellettuale. E’ evidente che nel vivace ambiente culturale frequentato da Tiziano, la lettura degli scritti di Sannazaro, Castiglione, Leone Ebreo e l’amicizia personale con Bembo sono componenti importanti per molte opere di questo periodo. neomeds.net

L’apertura alle corti e la consacrazione a Venezia
Nel 1516 - anno in cui muore Giovanni Bellini - Tiziano viene chiamato a Ferrara dal duca Alfonso I d’Este, per la decorazione del Camerino d’alabastro nel castello cittadino. Nello stesso anno Germano Casale, priore del convento veneziano di Santa Maria Gloriosa dei Frari, commissiona all’artista la pala con l’Assunta per l’altare maggiore della chiesa. Contemporaneamente, dunque, Tiziano riceve i due primi importanti lavori che lo introducono ufficialmente a corte e in un ambito ecclesiastico di grande rilievo. I tre Baccanali ferraresi fanno parte di un programma decorativo complesso, costituito anche da altri dipinti mitologici di Giovanni Bellini e Dosso Dossi. Essi vengono eseguiti tra il 1518 ed il 1523: i primi due, L’offerta a Venere e la Festa nell’isola di Andros (entrambi a Madrid, Prado) si ispirano al sesto libro delle Immagini di Filostrato, rielaborato nell’ambiente umanistico di corte. Tiziano rende il tema con una pittura densa e dai toni accesi che sottolinea l’ardito dinamismo delle figure danzanti e paghe di un’ebbrezza erotica, sulle quali però pende sempre il messaggio moralistico del tempo che fugge inesorabilmente. Anche nei dettagli, l’artista mostra di ispirarsi sia a fonti antiche - i sarcofagi classici - sia a opere coeve di Michelangelo e Bartolomeo della Porta. Nel Trionfo di Bacco e Arianna (1522; Londra, National Gallery) le fonti letterarie predilette sembrano però essere Ovidio e Catullo, mentre il ritmo si fa più contorto e il colore più brunito, a causa del probabile primo impatto con lo stile manierista dell’Italia centrale.
La pala dell’Assunta viene ufficialmente inaugurata nel 1518 e con essa Tiziano è riconosciuto il più grande artista di Venezia. Nell’impostazione rivoluzionaria dell’iconografia che sconcerta i committenti, dominata dalla forza dei rossi e dal turbinio delle figure in una luce calda e diffusa, le fonti coeve riconoscono la venustà di Raffaello e la "terribilità" di Michelangelo. Ma la meditazione più profonda sull’arte dell’Italia centrale, porta Tiziano a perdere la serenità compositiva di forme tradizionali che domina le pale degli anni precedenti. Così, più che nella Pala Gozzi (Madonna col Bambino e i santi Francesco, Alvise e il donatore Luigi Gozzi; Ancona, Museo civico), firmata e datata 1520 - commissionata da un mercante raguseo per la chiesa di San Francesco ad Ancona - dove Tiziano risente grandemente dell’influenza della Madonna di Foligno di Raffaello, è nel Polittico Averoldi, firmato e datato 1522, che egli reinterpreta opere michelangiolesche e archeologiche alla luce del nuovo clima della Maniera. Nella struttura ancora arcaica dell’insieme - probabilmente voluta dallo stesso Altobello Averoldi, legato pontificio di Leone X a Venezia, per la chiesa dei Santi Nazzaro e Celso di Brescia - la forte accentuazione plastica dei volumi dei corpi e la luce divenuta notturna, rotta da bagliori di fuoco, cambiano tono alle scene raffigurate. Come in questi dipinti, anche nella Pala Pesaro (15191526; Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari), eseguita da Tiziano per la tomba di famiglia del domenicano Jacopo Pesaro (lo stesso per il quale aveva dipinto anni addietro la Pala di Anversa), si celebrano al tempo stesso il significato teologico e la gloria familiare del committente. Alla novità iconografica della grande pala, impostata sulla diagonale di una scalinata templare vista di fianco, con due poderose colonne che si sperdono nel cielo, s’aggiunge anche la splendida galleria di ritratti dei componenti della famiglia, chiamati a partecipare alla scena.

La ritrattistica ufficiale e privata
Dal 1517 Tiziano diviene ritrattista ufficiale dei Dogi (grazie al privilegio ottenuto della Senseria del Fondaco dei Tedeschi), ma molti dipinti vanno perduti nell’incendio del Palazzo Ducale di fine Cinquecento. Nella sterminata galleria di ritratti che l’artista esegue durante la sua lunga vita, la posa dell’effigiato inizialmente preferita è a mezza figura e con le mani visibili secondo il prototipo leonardesco: il Ritratto di gentiluomo forse Tomaso Mosti - (1520 circa; Firenze, Pitti) o L’Uomo dal guanto (1523 circa; Parigi, Louvre), collegabili rispettivamente all’ambiente ferrarese e a quello mantovano, sono esemplari capolavori di misura cromatica e notevole introspezione psicologica.
Il contatto con le grandi corti italiane e poi europee, induce poi Tiziano a realizzare anche un tipo di ritratto ufficiale a tre quarti o a figura intera, mirante a sottolineare il ruolo del personaggio vestito con abiti o armature di parata (molto spesso studiati dall’artista dal vero). Questo tipo d’iconografia ha molto successo: ne è un esempio il Ritratto di Federico II Gonzaga (circa 1525; Madrid, Prado), di cui esistono numerose copie e repliche di bottega; con il sovrano, in particolare, Tiziano instaura rapporti dal 1523 e da parte dei Gonzaga riceve molte altre celebri commissioni, come ad esempio il Ritratto di Isabella d’Este in età giovanile (1534-1536; Vienna, Kunsthistorisches Museum), tratto da un dipinto di Francesco Francia.

Il Sacco di Roma e Carlo V a Bologna
Nel 1527 giungono a Venezia, reduci dal Sacco di Roma dei lanzichenecchi, Sebastiano del Piombo, Pietro Aretino e Jacopo Sansovino; specie con gli ultimi due, Tiziano stabilisce un vero e proprio sodalizio. Di Pietro Aretino sono famosi soprattutto due dei quattro ritratti eseguiti dall’artista nel corso degli anni: uno frontale, che lo coglie mentre si volta di scatto, irato e avvolto nel robbone rosso intenso (1545 circa; Firenze, Pitti); l’altro quasi di profilo, dalle tinte più spente e l’atteggiamento calmo e sussiegoso (circa 1550; New York, Frick Collection). Lo scrittore aiuta spesso l’amico a cavarsela con i committenti, spazientiti dai continui ritardi del pittore. In questo periodo Tiziano, alternando soggiorni a Mantova e a Ferrara, vince il concorso indetto dalla confraternita veneziana di San Pietro Martire, relativo alla pala da collocare nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Distrutto in un incendio nel 1867, il dipinto purtroppo ci è noto soltanto tramite copie e incisioni; inaugurato nel 1530, desta grande scalpore a Venezia per la drammatica violenza della scena. Sempre nel 1530, Tiziano si reca a Bologna in occasione dell’incoronazione di Carlo V: esegue così il primo ritratto dell’imperatore, per il quale viene pagato solo un ducato. Qualche anno dopo, tuttavia, il pittore può ritrarlo una seconda volta - Ritratto di Carlo V con il cane (1532-1533; Madrid, Prado) - ispirandosi probabilmente a un precedente modello del pittore austriaco Jacob Seisenegger; il sovrano, effigiato a figura intera, emerge nella posa formale dal fondo scuro con la sontuosa veste d’oro, della quale sono visibili i ricami. Si conoscono almeno altri nove ritratti dell’imperatore eseguiti da Tiziano, tra i quali alcune repliche sono esplicitamente richieste da altri sovrani del tempo. L’artista viene nominato di lì a poco conte Palatino e cavaliere dello Sperone d’Oro, titoli onorifici di gran pregio per sé e per i suoi familiari.

Tiziano e la corte di Urbino
Nel 1531, trasferitosi definitivamente nella casa a Biri Grande, in contrada San Canciano a Venezia, Tiziano instaura rapporti anche con la corte di Urbino, tramite l’amico e intermediario Sebastiano Serlio. Per Francesco Maria della Rovere, e poi per il duca Guidobaldo II, l’artista esegue una serie notevole di opere: tra le più importanti forse la sensuale Maddalena penitente, (1533 circa; Firenze, Pitti) - soggetto che riscuote grande successo e viene ampiamente replicato in seguito con molte variazioni - e i due celebri ritratti dei duchi Francesco Maria della Rovere ed Eleonora Gonzaga (1536- 1537; Firenze, Uffizi).
Solo in apparenza un richiamo alla tradizione giorgionesca (la Venere di casa Marcello, 1510; Dresda, Gemäldegalerie) è invece la Venere d’Urbino (1538; Firenze, Uffizi) - copiata tra gli altri da Ingres nel 1822 la "donna ignuda" per la quale freme il duca Guidobaldo: sensualmente dipinta con toni caldi di colore all’interno di un elegante palazzo veneziano, la figura femminile viene variamente interpretata nel doppio significato erotico e allegorico-musicale, in relazione alle nozze del duca stesso con Giulia Varano da Camerino. Il soggetto risulta poi straordinariamente somigliante sia alla cosiddetta Bella (documentata al 1536; Firenze, Pitti), con la simbolica catena da sposa, sia alla raffinatissima Fanciulla in pelliccia (15351537 circa; Vienna, Kunsthistorisches Museum).
In questo periodo, anche il re di Francia Francesco I viene immortalato da Tiziano in un ritratto a mezzo busto e di profilo, tratto probabilmente da una medaglia di Benvenuto Cellini (Ritratto di Francesco I, 1538; Parigi, Louvre).

La crisi degli anni ’40
Nel corso del quarto decennio del Cinquecento, Tiziano continua a lavorare comunque anche per Venezia. Nel 1538 consegna la grande Presentazione di Maria al tempio per la sala dell’Albergo della Scuola della Carità (1534-1538; Venezia, Gallerie dell’Accademia): occasione questa sia per innovare il taglio iconografico della scena, ambientata in uno spazio con espliciti riferimenti alle architetture serliane, sia per eternare in penetranti ritratti i confratelli della Carità. L’arrivo a Venezia di Francesco Salviati, Giuseppe Porta e Giorgio Vasari, tra il 1539 e il 1542, acuisce però in Tiziano la voglia di sperimentare diversi linguaggi espressivi, nuovamente aggiornati sulla Maniera tosco-romana. La distesa solarità cromatica e compositiva degli anni giovanili viene così completamente abbandonata: le figure assumono pose ardite, concitate, drammatiche, costruite con un colore impastato che si abbassa sui toni bruciati, anche se ancora parzialmente trattenuto dai contorni. Nascono opere quali L’incoronazione di spine (1540; Parigi, Louvre), firmata, per la chiesa di Santa Maria delle Grazie di Milano; una versione tarda dello stesso soggetto (1570 circa), dal colore spesso e con molte varianti, è a Monaco. Esemplari in questo senso sono anche i dipinti eseguiti dal 1544 con la bottega, per il soffitto della sala Grande dell’Albergo nella Scuola di San Giovanni Evangelista (Washington, National Gallery of Art e Venezia, Gallerie dell’Accademia) e, prima ancora, per quello della chiesa di Santo Spirito in Isola, sempre a Venezia (1542-1544; Venezia, Santa Maria della Salute, Sagrestia).
Queste tre tele con storie bibliche (ai lati busti di Evangelisti e padri della Chiesa) - commissionate dapprima a Vasari sono state interpretate anche come trilogia dell’omicidio che viene rispettivamente condannato (Caino uccide Abele), impedito (Il sacrificio di Isacco) e approvato da Dio (Davide e Golia).
La crisi non sembra invece turbare Tiziano nella splendida ritrattistica di questi anni: esempi famosi sono il Ritratto di Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto (1539-1543; Parigi, collezione del marchese de Ganay) - per il quale l’artista nel 1541 compie anche l’Allocuzione alle truppe (Madrid, Prado) quello di Ranuccio Farnese (1542; Washington, National Gallery of Art) - nipote proprio di quel papa Paolo III ritratto anch’egli a Busseto l’anno seguente - del Giovane inglese (1545; Firenze, Pitti) e del già nominato Pietro Aretino (1545 circa; Firenze, Pitti).

I soggiorni a Roma e ad Augusta
Nel 1545 Tiziano si reca a Roma, sostando anche a Pesaro e a Urbino: festosamente accolto dall’amico Bembo, dai Farnese e persino dal papa, ha modo di incontrare Michelangelo. A contatto con l’ambiente romano, l’artista sembra ritrovare un’intensa vena cromatica: nascono così capolavori come il disincantato e rivoluzionario Ritratto di papa Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese (1545-1546; Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte) che nella calibrata sinfonia di rossi e nella forza introspettiva dei volti coglie l’azione di conflitto delle tre figure. Come in una storia, l’attenzione si appunta sul gioco di sguardi tra il papa diffidente e il mellifluo nipote traditore che inchinandosi gli porge omaggio.
Proprio il mondano nipote Ottavio Farnese, comunque, ha commissionato a Tiziano la Danae (1545-1546; Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte), criticata da Michelangelo per la mancanza di buon disegno. Derivata probabilmente da un prototipo di bottega e ispirata sia al repertorio classico che a un disegno michelangiolesco - Leda, 1530 circa l’iconografia del soggetto avrà grande fortuna: tra le numerose repliche con varianti stilisticocompositive, la più famosa sarà quella per Filippo II (15531554; Madrid, Prado), dove la cromia s’abbruna e il Cupido viene sostituito dalla vecchia nutrice. Dopo aver ritratto numerosi esponenti della famiglia Farnese e aver ricevuto dal municipio di Roma la cittadinanza onoraria, Tiziano torna a Venezia facendo tappa a Firenze, dove offre senza successo i propri servigi al granduca Cosimo de’ Medici. Da questo momento, tranne qualche lavoro in ambito veneziano o provinciale - ormai con larga partecipazione di bottega l’artista è sempre più preso dai grandi committenti stranieri.
Nel 1548 Tiziano parte per Augusta, invitato da Carlo V in occasione della Dieta: egli ha così modo di ritrarre numerosissimi personaggi illustri e, tra gli altri, la regina Maria d’Ungheria, che gli commissiona quattro dipinti per la sala del suo palazzo di Binche (Fiandra), detta poi "delle Furie" o "dei Dannati". Tra i ritratti più famosi vi sono quelli dell’imperatore Carlo V, colto in due momenti contrapposti e complementari della sua personalità: il fiero cavaliere cristiano che combatte i protestanti nella battaglia di Mühlberg - Carlo V a cavallo (1548; Madrid, Prado) - e l’uomo pensieroso, ammalato di gotta, che siede nel silenzio della loggia privata - Carlo V in poltrona, (1548; Monaco, Alte Pinakothek).
Quest’ultimo dipinto è costruito proprio con i tre colori ritenuti fondamentali dal pittore: il bianco, il rosso e il nero. Ancora per Carlo V, Tiziano esegue (da modelli) due toccanti ritratti dell’imperatrice, defunta nel 1539: in uno, Isabella sola, accanto alla finestra, guarda lontano (1548; Madrid, Prado); nell’altro, è ritratta con il marito; di questo dipinto, perduto, che Carlo V porta con sé insieme ad altri nel ritiro di Yuste del 1555, esiste una copia attribuita a Rubens e conservata a Madrid (Collezione duchessa d’Alba).
Nel 1550-1551, dopo essere rientrato per breve tempo a Venezia e aver fatto tappa a Innsbruck e a Milano, il cadorino soggiorna nuovamente ad Augusta, dove viene ritratto da Cranach ed esegue altre opere per la cerchia imperiale. Qui ha l’occasione di ritrarre per la seconda volta il principe Filippo II, a figura intera e con la poderosa armatura ufficiale, Ritratto del principe Filippo II (1551; Madrid, Prado), di cui esistono varie repliche. Da allora Tiziano instaura un lungo sodalizio artistico con il sovrano, che diviene il più importante - spesso inadempiente - committente del pittore fino alla morte.
Tornato definitivamente a Venezia nel 1551, l’artista non prende parte alle grandi commissioni laiche e religiose della città, alle quali rispondono invece i due maggiori geni pittorici del secondo Cinquecento veneziano: Jacopo Tintoretto e Paolo Veronese. Tiziano non è più il dominatore incontrastato della città e negli ultimi venticinque anni di attività diminuiscono sempre più i lavori in ambito italiano: tra i più significativi, la Crocifissione del 1558 per la chiesa di San Domenico ad Ancona e il Martirio di san Lorenzo, terminato nel 1559 (Venezia, chiesa dei Gesuiti) per la sepoltura di Lorenzo Massolo nella chiesa dei Crociferi a Venezia; quest’ultimo non è esente da influenze tintorettesche nell’ambientazione notturna e lo scorcio ardito della scena. Nel corso del settimo decennio, Tiziano compie ancora lavori fuori Venezia -Brescia, Pieve di Cadore (cicli distrutti in seguito) - con ampio intervento della sua bottega. Nel 1566, inoltre, ottiene l’importante privilegio sulle incisioni tratte dalle proprie opere da parte di Cornelis Cort e Nicolò Boldrini, ricevendo da Vasari - in visita al suo studio veneziano - la nomina a membro dell’Accademia dei pittori toscani. L’anno successivo esegue ancora lavori per papa Pio V e i Farnese. Tra i ritratti più significativi dopo il ritorno da Augusta, caratterizzati ormai dal tocco sgranato, vi sono quelli di Fabrizio Salvaresio (1558; Vienna, Kunsthistorisches Museum), i due Autoritratti dai toni bruno rossastri del 1562 circa (Berlino, Staatliche Museen) e del 1567 (Madrid, Prado) e il Ritratto di Jacopo Strada (1567- 1568; Vienna, Kunsthistorisches Museum), chiaramente improntato su modelli nordici (Hans Holbein il Giovane). Tramite Jacopo Strada, consigliere di corte e antiquario di Massimiliano II, Tiziano offre all’imperatore anche una numerosa serie di dipinti mitologici che forse nel soggetto riprendono quelli creati per Filippo II.

Tiziano e Filippo II
Già all’inizio del sesto decennio il sovrano spagnolo Filippo II diventa il vero monopolizzatore delle opere tizianesche: per lui l’artista, continuamente pressato, esegue numerosissimi dipinti di vario soggetto. Così, la posa della Venere di Urbino, parzialmente ripresa nella fortunatissima iconografia della Venere con organista, amorino e cagnolino (1550; Berlino, Staatliche Museen, una replica con varianti è a Madrid, Prado) risulta un pretesto per ritrarre lo stesso Filippo II sotto le spoglie dell’organista, nel clima di una raffinata allegoria erotico-musicale.
Pur restando ancora impegnato con Carlo V sul versante religioso - nel 1554 spedisce al sovrano l’Addolorata a mani aperte (Madrid, Prado, dipinta su marmo) e la cosiddetta Gloria (Madrid, Prado), dal complesso significato teologico-politico - è anche sulla rilettura dei testi di Ovidio, Boccaccio e Leone Ebreo che Tiziano impronta il recupero del filone mitologico-allegorico per Filippo II. Nascono così capolavori come la Danae (1553-1554; Madrid, Prado), modellata sull’esempio farnesiano per decorare in maniera originale il camerino del sovrano, e il suo pendant Venere e Adone (1554; Madrid, Prado) che ha notevole influenza su Veronese e Rubens. Si tratta delle famose "Poesie" per Filippo II (definite così da Tiziano stesso): a volte costruite con colori brillanti e pastosi, che si sgranano nella luce - Diana e Atteone, Diana e Callisto (entrambe del 1559; la prima a Edimburgo, National Gallery of Scotland, e la seconda replicata con varianti a Vienna, Kunsthistorisches Museum), Il ratto di Europa (1559-1562; Boston, Isabella Stewart Gardner Museum); a volte, invece, contraddistinte da un’atmosfera cupa, in cui i colori mutano tono nella quasi unitarietà di tinta, come in Perseo e Andromeda (1559- 1563; Londra, Wallace Collection).
La medesima dicotomia espressiva si legge anche nei numerosi dipinti di soggetto religioso, improntati a un esasperato patetismo controriformistico: da un lato La deposizione nel sepolcro (1559) e dall’altro la verdastra Santa Margherita e il drago (1560-1565, ampiamente replicata), entrambe al Prado di Madrid. Il baluginante Martirio di san Lorenzo (1564-1567), dipinto appositamente per l’altare maggiore dell’Escorial, dove si trova tuttora, è una replica con molte varianti iconografiche e stilistiche dello stesso soggetto eseguito per Massolo a Venezia meno di dieci anni prima. Sempre per Filippo II, Tiziano compie anche alcune grandi tele dal significato teologico-politico, riprendendo in mano vecchi lavori incompiuti o rispolverando un formulario classico e medievale.

La fase estrema
Gli ultimi anni dell’attività di Tiziano sono contraddistinti da opere (create anche per se stesso) realizzate con una stesura pesante del colore, dato a corpo e quasi di getto, con la spatola e a volte con le dita stesse. Le figure perdono completamente la residua plasticità della linea di contorno, la scena non ha più profondità. L’"espressionismo magico" di questa "alchimia cromatica" com’è stato definito lo stile del vecchio artista - marca la violenza pessimistica di scene attinte dal repertorio storico e mitologico: la concitata tela con Tarquinio e Lucrezia ancora per Filippo II (1571; Cambridge, Fitzwilliam Museum) o l’atroce Supplizio di Marsia (15701576; Kromeritz, Pinacoteca del castello), in cui Tiziano si autoritrae nei panni di Mida che assiste alla scena rassegnato e pensieroso.
La Pietà (1575-1576; Venezia, Gallerie dell’Accademia) è forse l’opera estrema di Tiziano (come per Michelangelo la Pietà Rondanini): una tragica meditazione sulla morte che lo coglie il 27 agosto 1576, mentre a Venezia infuria la peste.
Pensata dall’artista per la propria sepoltura - mai realizzata - nella chiesa dei Frari e rimasta incompiuta, esprime nell’impaginazione classica un’angoscia profonda. Ritraendosi nell’evanescente, pulviscolare san Girolamo, in ginocchio davanti al Cristo morto tenuto in grembo dalla Vergine, Tiziano lascia all’umanità l’ultimo messaggio di pietà e forse di speranza.

Bibliografia essenziale
R. Pallucchini, Tiziano, 2 voll., Firenze, Sansoni, 1969.
E. Panofsky, Problems in Titian. Mostly Iconographic, New York, New York University, 1969 (trad. it. Tiziano. Problemi di iconografia, a cura di Marco Folin, Venezia, Marsilio, 1992).
F. Valcanover, L’opera completa di Tiziano, Collana Classici dell’Arte n. 32, Milano, Rizzoli, 1978.
H.E. Wethey, The Paintings of Titian,3 voll., London, Phaidon Press, 1975.
AA. VV., Tiziano e Venezia, Atti del convegno internazionale di studi, Venezia, 27 settembre1 ottobre 1976, Vicenza, Neri Pozza, 1980.
A. Gentili, "Tiziano", in Dossier Art, n. 47, Firenze, Giunti, giugno 1990.
AA. VV., Tiziano, catalogo della mostra di Venezia (Palazzo Ducale) e Washington (Na-tional Gallery of Art), Venezia, Marsilio, 1990.



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